23 aprile, si festeggia la Giornata mondiale del Libro… un invito alla lettura

23 Aprile 2020 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Si festeggia oggi in tutto il mondo la Giornata mondiale del Libro, istituita dall’UNESCO nel 1995.

La data è stata scelta in memoria di tre grandi figure della letteratura mondiale decedute proprio lo stesso giorno ed anno, 23 aprile 1616: lo spagnolo Miguel de Cervantes, l’inglese William Shakespeare ed il peruviano Inca Garcilaso.

In occasione di questa giornata, dal 2002 l’UNESCO nomina ogni anno una Capitale mondiale del libro. La prima fu Madrid. Fu proprio in Spagna, in Catalogna, infatti, che nacque per le prima volta l’idea di una Giornata dedicata al libro, istituita poi ufficialmente nel 1926 da re Alfonso XIII, ed in questa giornata è tradizione che gli uomini regalino alle proprie donne una rosa e i librai catalani diano in omaggio una rosa ai clienti per ogni libro comprato.

Negli anni si sono succedute poi diverse capitali del libro: Alessandria d’Egitto, New Delhi, Anversa, Montreal, Torino, Bogotà, Amsterdam, Beirut, Ljubljana, Buenos Aires, Yerevan, Bangkok, Port Harcourt (Nigeria).

La capitale della Giornata Mondiale del Libro è quest’anno Kuala Lumpur (Malesia).

Leggere è importante sempre, ma in questa fase in cui siamo costretti a stare a casa potremmo meglio occupare proficuamente un po’ più del nostro tempo con buone letture.

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In occasione di questa giornata, mi piace riportare ampi stralci di un significativo intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, su cui riflettere, nel corso di un incontro con giovani studenti in occasione di una delle ultime Giornate mondiali del Libro:

Leggere è una ricchezza per la persona e per la comunità. È una porta che ci apre alla conoscenza, alla bellezza, a una maggiore consapevolezza delle nostre radici, ai sentimenti degli altri che spesso ci fanno scoprire anche i nostri sentimenti nascosti. Non è vero che la lettura sia stata e sia un’abitudine di personalità introverse. È vero il contrario: è una chiave per diventare cittadini del mondo, per conoscere esperienze lontane, per comprendere le contraddizioni e le storture, ma anche per comprendere le grandi potenzialità del mondo che ci circonda, dell’umanità che ci circonda. È un modo per far nascere speranze, per coltivarle, per condividerle.

I latini chiamavano liber il manoscritto, il libro. Liber, come il sostantivo e l’aggettivo che definivano l’uomo libero. Si tratta di etimi diversi. La parola “libro” viene da “corteccia”, la corteccia degli alberi sulla quale si incidevano le iscrizioni. Ma questa identità del termine è quanto mai opportuna: in questo tempo avvertiamo particolarmente che leggere è parte di un percorso di libertà.

Diceva un grande scrittore per ragazzi, Gianni Rodari: “Vorrei che tutti leggessero. Non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo”.

Più libri vuol dire più libertà. Più lettori vuol dire più conoscenza, più spirito critico, più autonomia di giudizio, elementi essenziali di una convivenza.

La società dell’iper-connessione, per definizione, dilata le facoltà dell’uomo, con un accesso, senza confini apparenti a nuovi contenuti e appare dischiudere una libertà quasi infinita. È come se un mondo divenuto più piccolo ci dicesse: la libertà è qui, basta coglierla, non c’è bisogno di alcuno sforzo, il mercato sovrabbonda di merce; ma non tutta è merce di qualità.

E invece, tanto più ci avviciniamo alla libertà, tanto più scopriamo che essa è delicata, che merita un’attenzione speciale, che comporta la fatica della responsabilità e dei doveri. La libertà, per radicarsi ed ampliarsi davvero, non può fare a meno della cultura e della coscienza. Il sapere è condizione di libertà. Perché è condizione del pensiero. Le riflessioni e le passioni che la lettura suscita costituiscono un ponte verso il futuro.

E, oggi, abbiamo grande bisogno di pensare al futuro, di progettarlo e di immaginarlo.

Il “tempo reale” dell’informazione tende a schiacciare tutto sul presente, con un rapido consumo e veloce abbandono delle notizie e delle emozioni, dei pensieri che esse suscitano. Ma, se gli obiettivi contingenti prevalgono sui progetti e gli investimenti per il domani, noi rischiamo di uniformare il pensiero, di appiattirlo, anziché di accrescere la capacità creativa.

Leggere, conoscere, pensare con la propria testa sono antidoti all’omologazione. Dunque sono qualità che rendono viva una civiltà, la nostra civiltà. Sono beni che le istituzioni e i corpi intermedi della società devono essere capaci di diffondere, soprattutto in favore delle generazioni più giovani, le più bisognose di futuro.


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Pantaleo Gianfreda
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