40 anni fa l’assassinio di Aldo Moro e Peppino Impastato

9 Maggio 2018 Off Di Pantaleo Gianfreda
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40 anni fa, il 9 maggio 1978, l’assassinio di Aldo Moro ad opera delle Brigate rosse. Il suo corpo venne ritrovato in via Caetani, a Roma, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa. A 40 anni di distanza non sono ancora del tutto risolti i misteri di quella morte, nonostante le indagini della Magistratura e le diverse Commissioni parlamentari succedutesi in questi decenni.

Nello stesso giorno, a Cinisi (Palermo), venne ritrovato sui binari della ferrovia Palermo-Trapani il corpo dilaniato di Peppino Impastato, giovane militante di Democrazia Proletaria, che combatteva quotidianamente la mafia con il suo impegno politico e i ripetuti interventi a “Radio Aut”, emittente libera di Cinisi.

Peppino Impastato

Stampa e TV, Forze dell’ordine e Magistratura parlarono subito di un’azione terroristica in cui l’attentatore era rimasto ucciso, cercando di distruggere l’immagine del giovane Peppino. Il delitto, avvenuto in piena notte, passò quasi inosservato poiché in quelle stesse ore veniva ritrovato il corpo di Moro. Solo la determinazione della madre Felicia e del fratello Giovanni fece emergere la matrice mafiosa dell’omicidio, riconosciuta nel 1984 anche dal Tribunale di Palermo. Nel 1994 il caso fu riaperto e tra il 2001 e il 2002 la Corte d’Assise di Palermo condannò Vito Palazzolo a 30 anni di carcere come esecutore e il boss mafioso Gaetano Badalamenti all’ergastolo come mandante dell’omicidio.

A Peppino Impastato è dedicato il bellissimo film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana… “cento passi” che separavano non solo metaforicamente ma anche effettivamente la casa di Peppino da quella del boss Tano Badalamenti.

A 40 anni dal suo assassinio, vivono sempre il ricordo e l’esempio di questo coraggioso giovane comunista, “faro” di vita e di speranza per “la migliore gioventù” e per tutta la società.

Il contemporaneo assassinio di Impastato e Moro rappresentano ancora oggi, a 40 anni di distanza, “metafora” storica di quei terribili anni ’70 e degli eventi che colpirono l’Italia negli anni successivi.

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Mentre, però, sono certi esecutori e mandanti dell’assassinio di Peppino, ancora oggi permangono tanti irrisolti misteri attorno a quello di Aldo Moro, che fu uno dei più lucidi politici italiani, Presidente nazionale della Democrazia Cristiana e già Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, uomo del dialogo con il Partito Comunista Italiano a livello nazionale, “ponte” di dialogo con la Palestina e il Medio Oriente a livello internazionale, nonché fautore (come Enrico Mattei) dell’autonomia energetica dell’Italia. Per queste sue posizioni politiche Moro era notoriamente inviso agli Stati Uniti  e all’Amministrazione repubblicana, in particolare al Segretario di Stato Henry Kissinger, che (ormai è storia) in alcune occasioni espresse chiare e pesanti minacce allo statista italiano. La Storia si è già incaricata di dare un giudizio sui veri ispiratori di quell’assassinio, di cui le Brigate rosse furono solo macabri esecutori e “burattini”. Forse dovremmo aspettare ancora decenni per conoscere la “vera” verità di quell’assassinio, che cambiò il corso della storia italiana.

Ho seguito con una certa commozione ieri sera su Rai 1 il programma dedicato ad Aldo Moro, in particolare la lettura, piena di pathos, da parte di Luca Zingaretti dell’ultima lettera di Moro alla moglie Noretta accanto alla R4 in cui venne ritrovato il cadavere dello Statista e il successivo “Aldo Moro, il Professore”.

Per chi, come me e tantissimi altri giovani italiani, ha frequentato nei primi anni ’70 la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, in cui Moro insegnava Procedura Penale (all’epoca era Ministro degli Esteri), è stato emozionante e coinvolgente ripercorrere luoghi, fatti e uomini di quegli anni. Si sono ravvivati ricordi, in me sempre nitidi, di quell’uomo mite e affabile che, anche dopo la sua ora di lezione, si intratteneva lungamente a conversare con gli studenti nel corridoio della Facoltà. Non frequentavo il suo corso, sebbene alcune volte mi affacciassi per curiosità nell’aula, e avevo grande timidezza e reverenza nell’approcciarmi a lui (ricordo di avergli una volta detto che eravamo “compaesani”, essendo lui di Maglie ed io di Collepasso). Avevo, invece, dimestichezza e familiarità con il suo “angelo custode” Oreste Leonardi, il Maresciallo dei Carabinieri che lo accompagnava dappertutto, massacrato con altri agenti il 16 marzo 1978 in via Fani, all’atto del rapimento di Moro. Confesso che ho trovato, a livello psicosomatico, poco adeguato ad esprimere la personalità di Oreste l’attore che lo ha interpretato, nonostante la sua bravura. Leonardi era un bell’uomo, simpatico, brillante, premuroso, sempre pronto a dialogare e scherzare. Così come, nonostante la sua indubbia bravura, Castellitto mi è sembrato non pienamente in grado di interpretare l’animus che traspariva, almeno per chi lo ha conosciuto direttamente, dal volto mite e dialogante dell’uomo. Moro amava i giovani (questo emerge anche dal filmato), che per lui rappresentavano la speranza di un’Italia migliore, e, nonostante i suoi impegni di governo, non considerava “perso” il lungo tempo che dedicava al dialogo e al confronto con gli studenti anche fuori dall’orario di lezione. In quei dialoghi si poteva “toccare con mano” l’umanità e la vera lezione di vita del prof. Aldo Moro, politico “dai pensieri lunghi”, di cui si sente totale mancanza nell’attuale scenario politico.

Enrico Berlinguer e Aldo Moro

40 anni fa, quando fu ritrovato il cadavere di Moro in via Caetani (simbolicamente a pochi passi da Piazza del Gesù, sede nazionale della Democrazia Cristiana, e via delle Botteghe Oscure, sede nazionale del Partito Comunista), io ero a Frattocchie, frazione di Marino a 20 km. da Roma, sede dell’Istituto di studi comunisti (noto come “Scuola delle Frattocchie”), dove soggiornavo da tempo per frequentare un corso di politica agraria (da due anni lavoravo nella Confcoltivatori provinciale, di cui poi divenni presidente). Ricordo la “convocazione d’urgenza” fattaci nell’Aula magna dal direttore Luciano Gruppi, considerato all’epoca l’”ideologo del PCI”. Dopo aver comunicato la tragica notizia, ci invitò a recarci tutti a Roma a partecipare alla manifestazione popolare organizzata al Colosseo. Giungemmo in una piazza gremitissima e sommersa dalle bandiere rosse della CGIL e del PCI. Notai l’assenza delle bandiere bianche della D.C., di cui Moro era Presidente nazionale. Dal mio punto di osservazione (avevo trovato spazio su una piccola altura dei Fori Imperiali) potei assistere ad un evento indelebile nella mia memoria: in quella marea di bandiere rosse, improvvisamente, da via Labicana, avanzava e si immetteva in piazza del Colosseo un manipolo di manifestanti con 4-5 bandiere bianche dello Scudo crociato. Con un groppo in gola, vidi quella marea rossa, immensa e rispettosa, “aprirsi” in un lungo corridoio e “fare ali” al passaggio di quelle bandiere bianche.  

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Uno spettacolo emozionante e indimenticabile di un popolo, pur diverso, unificato da piccoli, immensi e significativi gesti, dal ricordo e dal rispetto verso un uomo e un politico che aveva sacrificato la vita per la democrazia italiana.

Peppino Impastato e Aldo Moro sono le facce, diverse e complementari, di una stessa medaglia: quella dell’Italia migliore di ieri, oggi e domani.

Pantaleo Gianfreda


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