Una “favoletta” su un’”ordinaria” mattina di maggio all’Inps di Vattelappesca…

16 Maggio 2018 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Per divagare un po’, permettetemi di raccontare una “favoletta” che ha visto oggi protagonisti… io, lei e il “buon senso”.

Mi reco verso mezzogiorno all’Inps di Vattelappesca per depositare e far protocollare una comunicazione importante.

Chiedo al Vigilante dove è l’Ufficio protocollo.

Il buon uomo, un po’ incerto verso quale sportello indirizzarmi, mi stampa infine un numeretto (il 3) e mi indirizza verso l’Urp (Ufficio Relazioni con il Pubblico).

Busso. Nessuno risponde. Busso ancora. Nessuna risposta.

Sto per tornare dal Vigilante, quando percepisco un “avanti!”.

Entro. Saluto.

La signora, che avevo conosciuto giorni prima, è impegnata al telefono.

Che vuoi?”, mi dice dopo un po’ con fare scostante.

Devo protocollare una comunicazione”, rispondo.

Chi ti ha mandato qui?”.

Il Vigilante”, rispondo, e le mostro il numeretto.

Io oggi non ricevo il pubblico. In questo momento devo sbrigare alcune carte per la direzione”, sibila.

Stavo per farle presente che se ho il n. 3 del suo servizio significa che nella mattinata almeno altri due utenti sono stati ricevuti da lei. Mi trattengo.

Mi scusi – dico – ma Lei non è la Responsabile dell’Urp, cioè dell’Ufficio dei rapporti con il pubblico? Il suo ufficio non dovrebbe essere sempre a disposizione dei cittadini negli orari di ufficio? Devo solo protocollare un documento”.

Irritata, la signora esce per cercare il Vigilante e chiedergli forse perché mi ha mandato da lei.

Torna, ancora irritata. “I documenti si mandano per posta elettronica, non lo sai?” – dice con tono che non ammette repliche.

Inizio ad irritarmi anch’io per quel suo modo scontroso, arrogante, saccente e poco rispettoso.

Lei è responsabile Urp – dico -. Possibile che non sappia che la Carta dei Servizi prevede di poter presentare documenti anche direttamente presso gli uffici Inps locali e che si debba riasciare ricevuta del protocollo?”.

 “Di che si tratta? Cosa c’è scritto?”, ribatte un po’ spiazzata.

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Le consegno il documento in tre copie per gli uffici destinatari e aggiungo: “Mi scusi, a lei non interessa di che si tratta. Lei deve semplicemente riportare l’oggetto indicato nella mia lettera e smistarla ai destinatari”.

Nervosa (forse perché “presa in fallo”), indisponente, in disagio e non sapendo “che pesci pigliare“, replica: “Vado su in direzione a chiedere. Tu nel frattempo aspetta fuori”.

Esco. Esce anche lei. Visibilmente agitata.

C’è tanta gente nell’atrio di attesa, ma chiude a chiave (!!!) la porta del suo ufficio e sale su.

Con santa pazienza mi siedo fuori ed attendo.

… e rifletto: “Possibile che una Responsabile Urp non conosca l’abc della Pubblica Amministrazione, i diritti dei cittadini (di cui lei, nel ruolo che ricopre, dovrebbe essere “garante”) e i suoi doveri… e deve chiedere in direzione che fare?!? Povera Italia!“.

Torna dopo 10-15 minuti. Rientriamo nel suo ufficio. Mi siedo.

Va bene – dice -, ma dammi la tua carta d’identità”.

A che serve la carta d’identità?”, penso, ma per evitare polemiche ribatto solo: “È in macchina, vado a prenderla”.

Ritorno da lì a poco e le presento la carta d’identità.

Eh, no – dice – devi portarmi la fotocopia della carta d’identità perché la devo allegare”.

… “mica sto mandando il documento per posta elettronica“, vorrei spiegarle, “solo in quel caso è obbligatorio allegare copia della carta d’identità“… ma mi trattengo dall’umiliarla.

Invece, stavolta, sbotto: “Scherza?!? Se vado al Comune, alla Provincia od altro ente a protocollare un documento mica mi chiedono di allegare copia della carta d’identità! Vuole, comunque, che le scriva a mano un’autocertificazione che quella è la mia carta identità?!?”.

La mia risposta è ferma, giustamente irata, ma anche ironica.

La signora, che forse è in “giornata no”, non coglie l’ironia.

Mi porge un foglio di carta per scrivere l’autocertificazione.

Rimango sconcertato.

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Senta – dico a questo punto, esasperato e alterato, – lei ora sta esagerando. Mi dica quale articolo, punto, codicillo o altro della Carta dei servizi o regolamento prevede che io, presente davanti a Lei, devo allegare copia della mia carta d’identità, che è anche nelle sue mani in originale. Pensa veramente che io debba fare l’autocertificazione che attesti che quella è la mia carta d’identità e che io sono io?!?”.

… o forse la signora stava scambiando se stessa con il Il Marchese del Grillo nell’esilarante interpretazione di Alberto Sordi: “…io so‘ io e voi non siete un c…o!”?!?

Imbarazzata, un po’ scossa per i miei toni fermi e le sue stesse gaffes, la signora, pensando di intimorirmi, chiama il Vigilante: “Venga, ché non mi sento sicura con questo signore”.

Ma non si vergogna di quello che dice e sta facendo?”, le dico.

Arriva il buon Vigilante, che, poverino!, ancora più mortificato, rimane lì sulla porta.

La signora mi fa: “Accomodati fuori mentre io preparo la ricevuta”.

Ma non si rende conto di quanto sia ridicolo questo suo comportamento?”, ribatto. “Io da qui non mi muovo perché lei ha la mia carta d’identità ed io sono un utente che lei ha il dovere di rispettare e servire, considerato che siamo noi cittadini a pagarvi lo stipendio”.

Senza parole e visibilmente “impallata”, la signora decide di scrivere sulla comunicazione da protocollare gli estremi della mia carta d’identità. Non ce ne sarebbe bisogno, considerato che, in un “eccesso di zelo” non contemplato dalle norme, ha già verificato che “io sono io” (!!!) … ma non mi va di “maramaldeggiare”!

Dopo aver riportato i dati, mi invita ad aspettare fuori e maneggia sul computer per preparare la ricevuta.

Ri-esco, attendo e poi mi richiama per consegnarmi la benedetta ricevuta.

Le faccio presente che ogni comunicazione, essendo presentata a tre uffici diversi, dovrebbe avere un suo protocollo.

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“Mi concede” di far fare la fotocopia delle tre distinte comunicazioni con unica ricevuta.

Accetto, anche per non perdere altro tempo, e perché due dei destinatari sono solo “per conoscenza”.

Chiama ancora il Vigilante per far fare le fotocopie.

Poi, finalmente, mi consegna il tutto.

Mi trattengo un attimo. Attendo le sue scuse.

Penso che abbia il dovere di farmele per un comportamento indefinibile e vessatorio verso un cittadino.

Attesa inutile.

Saluto e me ne vado con il mio conquistato “trofeo”: la “Ricevuta di Protocollo” con tutti i crismi del “santo Battesimo”.

Torno a casa e mi diverto a rileggere un passaggio della “Carta dei servizi Inps” (composta di ben 70 pagine):

“… l’Istituto ha ulteriormente sviluppato quei fattori di qualità del servizio che meglio sintetizzano la capacità di risposta alle esigenze del cittadino, dell’assicurato e delle aziende:

  • la trasparenza, come garanzia di uguaglianza ed imparzialità, di chiarezza e completezza dei provvedimenti adottati, nonché come disponibilità a terzi, nei limiti di legge, dei dati ritenuti di proprio interesse;
  • l’affidabilità, quale impegno alla semplificazione dei processi produttivi e al raggiungimento di uno standard di qualità omogeneo su tutto il territorio;
  • la tempestività, come capacità di offrire il “servizio giusto al momento giusto” e nei tempi previsti;
  • la professionalità, come insieme di capacità, conoscenze e atteggiamenti adeguati alle diverse tipologie di utenza;
  • la comunicazione, intesa come la capacità di gestire il rapporto relazionale con cittadini, assicurati e aziende”.

Più o meno quei “fattori di qualità del servizio” (trasparenza, affidabilità, tempestività, professionalità, comunicazione, ecc. ecc.) che ho potuto personalmente verificare in quell’ufficio Urp dell’Inps della siderale Vattelappesca… su Marte… lontano solo, ma proprio solo “un tiro di schioppo” dal buon senso!

Nel caso qualcuno voglia approfondire o abbia bisogno, pubblico e cliccate su Inps Carta dei_servizi

… forse potrebbe servire anche a voi per contrastare e difendervi dall’arroganza di certi dipendenti pubblici!

Pantaleo Gianfreda


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