Quei “terribili anni” ’80-’90 … 25 anni fa gli assassini mafiosi di Falcone e Borsellino e lo scioglimento del Consiglio comunale di Collepasso

22 Maggio 2017 Off Di Pantaleo Gianfreda
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E’ encomiabile e condivisibile la decisione dell’Amministrazione di intitolare l’Aula consiliare del Comune di Collepasso, in una cerimonia ufficiale che si terrà nella mattinata di domani, martedì 23 maggio, ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, trucidati 25 anni fa dalla mafia. Il primo insieme alla moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta (il caposcorta salentino Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani), il 23 maggio 1992 a Capaci, sull’autostrada A29 in direzione Palermo; il secondo 57 giorni dopo, il 19 luglio 1992, insieme ai cinque della scorta (Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina) per la deflagrazione di una bomba collocata in una Fiat 126 posta in via d’Amelio sotto l’abitazione della madre.

Vorrei “leggere” la decisione di intitolare la Sala consiliare a Falcone e Borsellino, “testimoni di legalità”, come una scelta di grande portata per la politica collepassese e come “segno” di educazione e di “legalità militante” per le giovani generazioni e l’intera comunità, oltre che per la stessa politica.

Attendo di ascoltare gli interventi del sindaco, che ha voluto invitarmi alla cerimonia come “ex vicesindaco” (ma non solo, credo!), e degli altri esponenti politici per capire se la mia “lettura” possa essere fondata o puramente velleitaria. Se, in definitiva, la decisione impegnativa di intitolare emblematicamente a Falcone e Borsellino il luogo di massima democrazia dell’Istituzione locale sia puramente “di facciata” o, invece, preluda ad una netta svolta e ad una coerente scelta di legalità da parte della politica locale.

Falcone e Borsellino sono stati uomini coraggiosi (penso che si sentissero solo “uomini normali”) ed hanno pagato con la vita il loro rigoroso rispetto della Costituzione e delle leggi, la coerenza cristallina e la devozione indefettibile verso il loro ruolo di magistrati in anni bui e difficili per la democrazia italiana. E’ molto impegnativo decidere che Falcone e Borsellino diventino “testimoni di legalità” ed esempi da seguire per la nostra comunità e, in particolare, per tutti i nostri amministratori, che in tempi recenti e meno recenti non sempre hanno brillato per senso di legalità e nel dovere di contrastare piccoli e grandi fenomeni malavitosi, dimostrandosi, anzi, spesso succubi di questi.

E’ quello che è avvenuto, in particolare, negli anni ’80-’90 nel nostro Comune (alcuni di quei protagonisti siedono tuttora nel consesso consiliare).

Una riflessione su quegli anni a Collepasso si rende necessaria e, nell’occasione, doverosa, per rispetto e coerenza per quello che dovrebbe significare per tutti la decisione di intitolare la sala consiliare a due veri “testimoni di legalità”, che hanno pagato con la vita la loro “testimonianza”. Parlare di fatti assai significativi, ma “avvenuti altrove”, diventa spesso alibi per la nostra coscienza civica e politica per evitare di “fare i conti” con fatti e vicende che hanno interessato direttamente la nostra piccola comunità.

La ricorrenza del 25° delle stragi di Capaci e di via D’Amelio coincide, infatti, con altri eventi che hanno riguardato tutti noi. Mi auguro che, in una doverosa visione retrospettiva ed autocritica, vengano superati i meschini tentativi dell’epoca di minimizzare, occultare e persino negare l’esistenza di certi fatti.

25 anni fa – esattamente il 19 giugno 1992 – il prefetto Vittorio Stelo, mandato a Lecce per combattere l’idra sempre più aggressiva della Sacra Corona Unita nel Salento, firmò il decreto di scioglimento del Consiglio comunale di Collepasso e nominò commissario il giovane e valente funzionario prefettizio Francesco Greco.

Quel primo scioglimento postbellico del Consiglio rappresentava il “punto d’arrivo” di anni bui e difficili, che avevano portato la Commissione parlamentare antimafia ad inserire il nostro tra i cinque Comuni salentini (Collepasso, Gallipoli, Monteroni, Surbo e Taurisano) sospettati di infiltrazioni e collusioni con la criminalità organizzata.

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Gli anni ’80 e i primi anni ’90 avevano visto  anche a Collepasso l’insorgere e la presenza di fenomeni criminosi che cercavano (talora riuscendoci) di condizionare le scelte delle amministrazioni democristiane. Nel corso di quegli anni avvennero episodi abbastanza inquietanti: aggressioni a sindaci ed amministratori, spari intimidatori contro le abitazioni del comandante dei Vigili e di un vicesindaco democristiano, affidamento del servizio della nettezza urbana a soggetti “poco raccomandabili”, la collusione di un vigile urbano (poi condannato) con elementi della Scu, svariati furti ed attentati alla cooperativa agricola “Il Quadrifoglio”, di cui ero presidente, ecc. ecc., oltre al dilagare di ricorrenti episodi intimidatori e minatori, che qualcuno volle derubricare come “microcriminalità”, ma messi in atto da soggetti che rispondevano a “vertici” anche locali ben più inquietanti e pericolosi. Come i fatti hanno dimostrato.

Di particolare gravità i ripetuti episodi criminosi di cui fu vittima la cooperativa agricola “Il Qaudrifoglio”, che impegnava molti lavoratori e fu poi costretta a chiudere.

Il più grave fu quello che nell’ottobre 1989 portò all’incendio del capannone con la distruzione totale di moderni e nuovissimi macchinari per la lavorazione di prodotti orticoli, di imballaggi, di 70 quintali di tabacco e il furto di un autocarro e dei 20 quintali di tabacco che vi erano accatastati (poi ritrovato incendiato), di un trattore (anch’esso ritrovato incendiato) e di altre attrezzature agricole.

Questo gravissimo episodio era stato preceduto negli anni da altri fatti delittuosi: nel maggio 1986 il furto di 1.500 metri di tubazione per l’irrigazione e di vari irrigatori; nel luglio 1987 il furto di un trattore; nell’agosto 1987 il furto di un autocarro, di un motocoltivatore e di altre attrezzature agricole; nel marzo 1989 il pesante furto di rotoli di plastica per la coltivazione di meloni e angurie, ecc.. Infine, l’episodio che assestò il “colpo di grazia” alle residue velleità di continuare l’attività. Nella notte tra l’8-9 luglio 1992, i malviventi rubarono l’ultimo trattore con il quale alcuni soci tentavano di proseguire, seppur in modo ridotto, la coltivazione dei terreni e la produzione agricola.

Nonostante denunce, personali indagini, continue sollecitazioni e la mia fattiva collaborazione con Forze dell’ordine e Magistratura, i responsabili di quelle azioni delittuose non sono stai mai individuati né puniti, nonostante fosse evidente la “fonte”. Come era chiaro che i criminali di piccolo e grosso calibro che combattevo apertamente “volevano farmela pagare”. Nel luglio 1992 fu presentata persino un’interrogazione parlamentare su queste delittuose vicende da parte dell’on. Ernesto Abaterusso. Nemmeno questo riuscì, però, a perseguire l’obiettivo di serie indagini e i responsabili di quei misfatti rimasero impuniti dalla Giustizia umana (… ma non da quella divina).

Il 18 luglio 1992 fui vittima di una grave aggressione all’interno dei terreni della cooperativa, che provocò danni al mio occhio sinistro. L’aggressore fu denunciato e condannato. Forse questo lo “salvò” dalla “cattiva strada” su cui “cattivi maestri” lo stavano avviando. Oggi, grazie anche alla lodevole azione di due onesti genitori, è un lavoratore onesto, sposato e con figli (e abbiamo recuperato un buon rapporto).

Il giorno dopo, il 19 luglio 1992, venne ammazzato il giudice Borsellino. Con il mio occhio bendato e dolorante piangevo davanti al televisore mentre scorrevano le immagini della strage mafiosa di via D’Amelio, che aveva portato all’eccidio del coraggioso giudice e della sua scorta. Venne a farmi visita un “compagno” che aveva condiviso con me tante battaglie. Con il cadavere ancora “caldo” dell’eroico giudice e – si parva licet – con il mio occhio danneggiato, quel “compagno” veniva (o era stato mandato) per consigliarmi di lasciar perdere le mie battaglie, di “tenerci buoni” quei “soggetti”. Rimasi sconvolto. Lo cacciai da casa. Il soggetto (poverino!) “era ed è quello che è”… ma in quel momento capì la paura che serpeggiava anche in alcuni “compagni” e il rischio di isolamento in cui parte del mio stesso partito condannava me e le coraggiose battaglie che avevamo condotto per salvare Collepasso dalla “piovra” della malavita organizzata e contrastare le tante debolezze e contiguità delle amministrazioni democristiane.

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Fu clamoroso ed inquietante l’episodio che portò alla cattura di un noto superlatitante della Sacra Corona Unita, “nascosto” a Collepasso in casa di un noto pregiudicato. Il 23 giugno 1991 il brindisino Salvatore Buccarella, uno dei capi della Scu, venne catturato con un enorme spiegamento di Forze dell’ordine (ho ancora nelle orecchie il ronzìo degli elicotteri che sorvolavano Collepasso nel corso dell’operazione).

La Gazzetta del Mezzogiorno, 24 giugno 1991 (cliccare sull’immagine per leggere bene)

Pochi giorni dopo, il 29 giugno, nel mezzo della bufera che aveva investito il Comune per la denuncia dell’Antimafia di infiltrazione e collusione con la malavita organizzata, il sindaco DC Luigi Longo e la sua Giunta furono costretti a dimettersi (“sotto la spinta dell’opposizione”, titolò il “Quotidiano di Lecce”). Per verità storica, occorre precisare che il geom. Longo era proprio il sindaco ad aver avuto minori responsabilità in certe “infiltrazioni”, dovute soprattutto alla gestione del quinquennio amministrativo precedente. Quegli eventi, in particolare le dure accuse dell’Antimafia, condizionarono pesantemente la vita politica del Comune e, dopo una serie di convulse vicende, nel giugno 1992 l’Amministrazione fu costretta a “gettare la spugna”. Nella seduta del 18 giugno la maggioranza accolse la proposta di dimissioni del Consiglio avanzata dall’opposizione, anche per evitare la paventata “onta” dello scioglimento per infiltrazioni e collusioni con la criminalità organizzata, che avrebbe portato il Comune ad un lungo commissariamento di 18 mesi.

Da amministratore, seppur di opposizione, mi opposi doverosamente e strenuamente, insieme al mio partito, a quei fenomeni di criminalità sin dal loro primo manifestarsi agli inizi degli anni ‘80, denunciando apertamente e pubblicamente i fatti e, soprattutto, la debolezza e l’inerzia degli amministratori democristiani. Questo mi costò moltissimo. Ma le battaglie coraggiose e decise contro la criminalità, che condussi a rischio della mia vita insieme ad altri (erano note le minacce di morte che subì), l’indignazione popolare (molti cittadini collaborarono fattivamente per denunciare e isolare i fenomeni criminosi) e la crisi irreversibile della D.C. portarono poi, il 12-13 dicembre 1992, alla vittoria della lista unitaria di Alleanza Democratica, di cui divenni vicesindaco e assessore con deleghe alla Partecipazione, Informazione e, soprattutto, alla Sicurezza dei cittadini (era la prima volta, come scrissero i giornali, che in Italia un assessore riceveva, avendola io esplicitamente richiesta al sindaco Leonardo Malorgio, una tale delega) … ma questa è un’altra e lunga storia che, “a Dio piacendo”, tratterò  a dicembre, in occasione del 25° anniversario di quella data storica.

Aprirei un capitolo molto delicato, se dovessi soffermarmi sulle tante ambiguità, riguardanti quel periodo e quello successivo, non solo degli amministratori democristiani in carica, ma di esponenti locali della stessa sinistra. Certo è che il partito provinciale e nazionale fu sempre al mio fianco. Ricordo, nell’aprile 1992 (esattamente il 4 aprile), il deciso intervento di D’Alema per salvare me ed un altro consigliere PCI da alcuni malavitosi che volevano aggredirci. Ci salvammo “asserragliandoci” nel Palazzo municipale, chiusi a chiave nell’Ufficio dei Vigili. Venimmo “liberati” solo dopo l’intervento dei Carabinieri, inviati dalla Prefettura dopo la telefonata di D’Alema.

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Ci sono fatti ancora pubblicamente “inenarrabili” che farebbero arrossire dalla vergogna alcuni. Non solo vecchi democristiani ancora “in trincea” sotto altre “spoglie” (ricordo costoro ed altri sciocchi quando mi accusavano nei comizi di “gettare fango” su Collepasso … proprio come nel detto “quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito e non la luna”), ma anche “valorosi” amministratori di altra parte politica (sia PCI che PSI), che avevano (ed hanno) l’ambiguità e il doppiogiochismo come distintivo della loro azione politica. Per inciso, ricordo la pressante esortazione, rivoltami nell’ottobre-novembre 1992 dall’avveduto commissario prefettizio, a non lasciare ad altri la carica di sindaco, in caso di prevista vittoria elettorale (“Pandalé”, mi ripeteva nel suo caratteristico accento campano, “tuuu devi fare il sindaco!!!”). Non lo ascoltai, perché anteponevo (come, purtroppo, ho sempre fatto) ad ogni aspettativa personale lo sforzo di costruire un’alternativa ampia e mantenere unita quella “scalcagnata” (così la definisco oggi, dando ragione a quel Commissario e allo stesso D’Alema, che mi espresse le sue perplessità sulla lista unitaria di “Alleanza Democratica”) coalizione, in cui germogliò da subito il germe del personalismo, dell’invidia e della spocchia di taluni… ma questa è un’altra storia!

Ho rievocato queste vicende (per motivi di spazio, ne ho trascurate altre, pur significative), soprattutto per i giovani e per chi ha cercato e cerca di “obliare” e rimuovere dalla memoria collettiva quei bui e terribili anni vissuti dalla nostra comunità, per richiamare al senso vero che a me sembra doveroso dare all’evento di domani. Perché non sia una vacua “cerimonia” o una “passerella” di personaggi, pur “autorevoli”, estranei e ignari su quanto succedeva a Collepasso 25 anni fa, mentre Falcone e Borsellino sacrificavano la loro vita e saltavano in aria sotto le bombe della barbarie mafiosa.

Occorre che l’oblio e il gattopardismo non prendano il sopravvento sulla memoria storica, talora scomoda, di una comunità. Occorre riflettere su ciò che è avvenuto perché non si ripeta più. Occorre “cambiare vita” e “stili di vita”. Come quel giovane, oggi adulto, che a Collepasso, il giorno prima dell’assassinio di Borsellino, mi aggredì e mi colpì violentemente e che negli anni ha saputo riscattarsi da quel gesto.

Mi pongo e pongo agli attuali amministratori, sia di maggioranza che di opposizione, una domanda: è pronta e matura questa comunità, o meglio, i loro rappresentanti istituzionali, sinora avulsi da un sia pur minimo cenno autocritico sulle tante illegalità avvenute in quegli anni bui e terribili, ma anche negli anni successivi, ad accogliere il messaggio vero e profondo del sacrificio di Falcone e Borsellino, “testimoni di legalità”?!?

Il “testimone” della legalità, che l’attuale Amministrazione auspica di ricevere da Falcone e Borsellino con l’atto di intitolazione della Sala consiliare, deve essere vero, autentico e vissuto. Altrimenti si fa solo “passerella” e si offende la memoria di due eroiche vittime della mafia, vittime dell’illegalità, dell’arroganza e della prepotenza di chi pretende e presume di sostituirsi alle regole del vivere civile e dello Stato e, in alcuni momenti della loro vita, vittime anche dell’indifferenza e dell’ignavia delle Istituzioni.

Nell’agosto 1992 preparai e diffusi, come PDS, un dettagliato “dossier Collepasso” con i tanti articoli dei giornali su quanto successe a Collepasso nel biennio 1991-92. Mi piacerebbe fare dono di una o più copie alla Biblioteca comunale… ma esiste più una biblioteca a Collepasso, solennemente inaugurata nel dicembre 2011 ma mai attivata?!? Anche su questo dovrebbe essere da lezione la testimonianza di Falcone e Borsellino… una biblioteca è indispensabile perché serve a mantenere viva la memoria e a diffondere cultura, primo antidoto all’illegalità, in una comunità.

Pantaleo Gianfreda

Quotidiano di Lecce, 29 giugno 1991

Interrogazione parlamentare dell’on. Abaterusso, 16 luglio 1992


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