Un’inquietante condanna per aver richiamato due carabinieri in borghese al rispetto della legalità

28 Gennaio 2014 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Legge uguale per tuttiIl Nuovo Quotidiano di Puglia, nelle cronache provinciali di giovedì 23 e venerdì 24 gennaio u.s., ha ampiamente riportato una mia vicenda giudiziaria, conclusasi in primo grado ad una condanna ad un anno per presunte “offese ai carabinieri”.

Pur rispettando una sentenza che ritengo ingiusta e contro la quale presenterò appello, ho ritenuto doveroso, considerate alcune ricostruzioni parziali ed infondate della vicenda, così come riportate dal Quotidiano, di inviare alla stampa un comunicato, che qui pubblico integralmente, sul reale andamento dei fatti.  

L’ampio e ripetuto risalto dato da un quotidiano nelle cronache provinciali del 23 e 24 gennaio u.s. sulla vicenda giudiziaria che mi ha visto subire un’incredibile condanna ad un anno per “offese ai carabinieri” e alcune ricostruzioni parziali o infondate della vicenda mi inducono ad alcuni doverosi chiarimenti.

Intanto, per chi, come me, da sempre ha fatto della legalità la “stella polare” della sua azione politica ed amministrativa, è angosciante, oltre che iniquo, essere condannato per aver fatto rispettare… la legalità!

I fatti in breve. Nella tarda mattinata del 14 marzo 2011, mi reco in Municipio per lo svolgimento delle mie funzioni di amministratore del Comune di Collepasso. Tra le altre deleghe assessorili ho anche quelle alla Sicurezza e alla Polizia Municipale. Mentre accedo in Municipio da un’entrata laterale, noto due persone sconosciute che stanno parcheggiando l’auto proprio sulle strisce pedonali, nonostante vi siano regolari parcheggi disponibili. Nessun segno esteriore identifica i due come carabinieri. Cortesemente faccio loro notare la circostanza (“Scusate, ma non vi state accorgendo che state parcheggiando proprio sulle strisce pedonali?!?”) e salgo sul Palazzo Municipale. Costoro non replicano alla mia osservazione, probabilmente per lo scorno di essere stati colti in flagrante violazione del Codice della strada, non si qualificano come carabinieri né esibiscono alcun tesserino (la circostanza non avrebbe certamente attenuato la violazione).

Come si appurerà successivamente, si tratta di due carabinieri della Compagnia di Casarano (m.llo Vito Cantoro e app. Fredy Cursano) inviati in borghese presso l’Ufficio comunale Commercio per accertamenti. Una volta sul Palazzo comunale, il Cursano, però, invece di svolgere le mansioni cui era stato delegato, lascia subito il collega da solo a “sbrigarsela” con l’impiegato addetto e “va a caccia” della persona che aveva “osato” riprenderlo, chiedendo della stessa ad alcuni impiegati. Quando incontra questa persona (cioè, il sottoscritto), il Cursano non ha remore ad “eccedere con atti arbitrari i limiti delle sue funzioni”, comportandosi in maniera provocatoria ed arrogante ed abusando dei suoi poteri, in presenza di alcuni dipendenti. Mi qualifico come assessore (pertanto, pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni) e chiedo al Cursano, che è nel Palazzo Municipale e non conosco, di esibire i suoi documenti. Non lo fa mai. In quel momento, considerata l’assenza del sindaco, rappresento la massima Autorità comunale e, in virtù anche di specifica delega assessorile, sono responsabile della sicurezza e dell’ordine pubblico. Il Cursano, che, invece di fare il suo dovere presso l’Ufficio Commercio per i compiti cui era stato delegato, ha abbandonato il suo lavoro con l’intento di molestare e provocare un cittadino ed un amministratore, pretende, pur non avendo mai esibito il tesserino di carabiniere, le mie generalità senza alcuna plausibile motivazione, in assenza di un’operazione autorizzata di polizia e della consumazione di un reato.

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La “vicenda-tesserino”, come altre, assume toni grotteschi e sintomatici anche a livello giudiziario, a dimostrazione della montatura orchestrata ai miei danni. In sede di interrogatorio (5 marzo 2013), infatti, l’App. Cursano dichiara testualmente: “In quella circostanza il Maresciallo ha detto: ‘Guardi siamo dei Carabinieri’ tirando fuori il tesserino”. A sua volta, il Mar. Cantoro, nell’interrogatorio del 2 luglio 2013, ad una precisa domanda del P.M. (“Io voglio sapere se al signor Gianfreda è stato esibito un tesserino identificativo”), smentisce l’App. Cursano e risponde nettamente e testualmente: “Guardi, non da me ma sicuramente dall’appuntato Cursano Fredi, sì”. Una dichiarazione che non lasciava adito a dubbi o incertezze. Il giudice onorario avv. Domenico Greco, invece, con l’evidente scopo di “salvare” il maresciallo da una denuncia per falsa testimonianza, invita il Cantoro, come se fosse il suo avvocato e non un giudice imparziale, a controllare l’informativa da lui controfirmata. Solo allora, su successiva domanda dello stesso Giudice (“Avete esibito il tesserino?”), il Cantoro risponde “”, senza specificare se il tesserino fosse stato esibito solo da lui o da entrambi, considerato che Cursano aveva escluso da parte sua tale circostanza. I due si contraddicono platealmente e il Giudice avrebbe avuto solo il dovere di denunciare d’ufficio entrambi per falsa testimonianza, essendo evidente che avessero mentito per giustificare azioni non certamente esemplari.

Nell’informativa che i due redigono successivamente ai fatti, vengono riportate circostanze inverosimili, giustificazioni risibili, frasi offensive da me mai pronunciate, smentite in udienza anche dai testimoni.

I due, ad esempio, scrivono nella loro informativa che il sindaco Vito Perrone avrebbe successivamente riferito loro “che l’uomo era Gianfreda Pantaleo, già Assessore ed ora consigliere comunale di maggioranza”. Una circostanza assolutamente inattendibile, considerato che, dopo le mie dimissioni del 7 marzo 2011, proprio nella prima mattinata del 14 marzo 2011, il sindaco, dopo aver respinto le dimissioni, aveva fatto notificare l’avvenuta rinomina, riconfermandomi la fiducia in tutte le deleghe assessorili (Attività Istituzionali, Partecipazione, Sviluppo economico, Urbanistica, Politiche sociali, Sicurezza e Polizia Municipale). Come poteva il sindaco riferire circostanze non veritiere se lo stesso, solo poche ore prima, mi aveva riconfermato nei miei incarichi assessorili?!? E come e perché hanno potuto i due militi manipolare a proprio piacimento il colloquio con il sindaco, se non con l’obiettivo, abusando della propria posizione, di arrecare danno alla mia persona e trarre, invece, un “vantaggio” giuridico personale?!?

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Il Cursano, senza mai esibire il tesserino di carabiniere, aveva preteso persino che gli impiegati presenti fornissero le proprie generalità, indicandoli quali testimoni dei miei “misfatti”. Gli stessi testimoni ammessi hanno poi smentito, invece, le frasi offensive e le circostanze descritte dai due carabinieri.

Nel comportamento dei due carabinieri, in particolare del Cursano, pesano indubbiamente elementi che nulla hanno a che fare con la loro funzione: la contrarietà per essere stati ripresi per una violazione del Codice della Strada, il desiderio di rivalsa e di “farla pagare” alla persona che aveva “osato” rilevare tale violazione, un certo “delirio di onnipotenza” e la convinzione che il loro essere carabinieri li autorizzasse ad ogni sorta di comportamento e li rendesse immuni da qualsiasi sanzione penale o disciplinare.

Fredy Cursano con Fitto presso il Comune di Minervino, di cui è consigliere comunale di Forza Italia

Fredy Cursano con Fitto presso il Comune di Minervino, di cui è consigliere comunale di Forza Italia

Pesano, però, sull’intera vicenda altri inquietanti elementi che vanno rilevati e che pongono seri interrogativi sulla correttezza e credibilità di tali comportamenti. Sorge forte il dubbio che alla base degli inconcepibili comportamenti del Cursano vi fossero anche motivazioni e rivalse di carattere politico. Il Cursano, infatti, oltre che militare, è un noto militante politico di centrodestra: è consigliere comunale del Comune di Minervino di Lecce ed esponente politico di Forza Italia di acclarata ed incrollabile fede berlusconiana e fittiana (come si può facilmente evincere “navigando” su internet e leggendo sue ripetute e polemiche dichiarazioni). Chi può escludere, pertanto, che il Cursano abbia soprattutto voluto danneggiare un avversario politico, essendo ben nota la mia posizione politica in un’amministrazione di centrosinistra?!?

I fatti accaduti in quella tarda mattinata del marzo 2011 mi avevano scosso e sconvolto. Ritenevo inammissibile che un carabiniere avesse abusato del suo ruolo allo scopo di arrecarmi danno solo per aver io “osato” fargli presente l’anomalia dell’auto parcheggiata sulle strisce pedonali. Ero, pertanto, fortemente intenzionato a denunciare il Cursano all’Autorità Giudiziaria e ai suoi Superiori. Me ne dissuase caldamente l’allora sindaco Vito Perrone, informandomi che lo aveva chiamato il capitano della Compagnia di Casarano per scusarsi dell’increscioso episodio, esortare ad un clima di collaborazione e amicizia ed evitare conseguenze per i fatti accaduti. Fidandomi del sindaco (e del capitano), non presentai alcuna denuncia. Altri, invece, che meritavano di essere denunciati, decisero di intraprendere un’azione persecutoria ai miei danni. Oggi mi pento amaramente di aver accolto l’invito del sindaco a non presentare già allora l’esposto.

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L’odierna sentenza, che ha portato alla mia temporanea condanna, è stata indubbiamente favorita da un Giudice Onorario, che, a prescindere dalle testimonianze, dai fatti e dagli stessi atti processuali, ha ritenuto di dare comunque credito all’ardita informativa dei due carabinieri, senza tenere in alcun conto nemmeno le loro evidenti contraddizioni ed infondate informazioni. Quasi che in Italia non esista uno Stato di diritto, che garantisce l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, e prevalga invece uno Stato di Polizia, in cui la parola di un carabiniere, benché smentita dalle testimonianze, valga più delle parole di altri onesti cittadini.

La vicenda, come emergerà con maggiore chiarezza in sede di appello, presenta aspetti inquietanti che saranno oggetto di maggiori approfondimenti e che rendono dubbio persino tutto l’iter giudiziario.

Non è la prima volta, purtroppo, che avvengono fatti simili ai miei danni. Sarebbe opportuno e doveroso che gli Organi competenti accertino sino in fondo certe responsabilità e garantiscano agibilità politica e personale a chi, come me, ha sempre agito ed agisce per il rispetto della legalità e dei diritti dei cittadini. Sfugge tuttora a frange, per fortuna minoritarie, di rappresentanti istituzionali che in uno Stato democratico la legge è uguale per tutti e deve essere rispettata da tutti, in primo luogo da coloro che rappresentano le Istituzioni, pena la sfiducia sempre più galoppante verso le stesse Istituzioni.

Nonostante quest’incresciosa vicenda, continuo ad esprimere fiducia e rispetto verso la Magistratura e le Forze dell’Ordine. Non bastano incredibili e ripetuti comportamenti di singoli individui a farmi perdere fiducia e rispetto o a farmi deflettere dalle mie battaglie per la legalità.

Il mio unico “delitto”, origine dei miei “guai” giudiziari, è di aver fatto il mio dovere di cittadino e di amministratore: aver, cioè, rilevato un piccolo episodio di malcostume e di violazione di una norma del Codice della strada da parte di due carabinieri in borghese, che, invece di dare il buon esempio ed apprezzare il mio zelo di cittadino e amministratore, hanno rivendicato impunità e una non plausibile immunità. Probabilmente sarebbe stato meglio, in quel giorno di marzo, invece che prevenire un atto di inciviltà, chiamare i Vigili e far sanzionare i due che avevano parcheggiato sulle strisce pedonali!

Non appena saranno notificate le motivazioni della condanna, presenterò appello contro la sentenza. Ho fiducia che la Magistratura appellante saprà valutare tutti i fatti e rendermi giustizia e onore.

Pantaleo Gianfreda – Consigliere comunale ed ex vicesindaco di Collepasso

 Di seguito l’ultimo articolo del Nuovo Quotidiano di Puglia, pubblicato venerdì 24 gennaio

Nuovo Quotidiani di Puglia, 24 gennaio 2014

Nuovo Quotidiani di Puglia, 24 gennaio 2014


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