L’ultimo viaggio di Manuele. Collepasso e l’Italia stretti attorno a Federica, Manuel e tutti i familiari

29 Giugno 2012 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Ieri, nell’incontro con la Germania per gli Europei di calcio, i giocatori sono scesi sul campo di Varsavia con il lutto al braccio. Nel ricordo di Manuele Braj, il giovane carabiniere collepassese trucidato all’alba di lunedì scorso in Afganistan. L’Italia ha vinto anche per Manuele. Balotelli, nella gioia del gol, si è tolto e ha buttato la maglia… non la nera fascia del lutto per Manuele!

Gioia e dolore, assurdi ossimori di un destino tragico e felice, si sono fusi. La vita e la morte, la gioia e il dolore simbiosi e paradigma ineluttabili dell’umano destino…

Manuele, appassionato di calcio (ieri Gianni Greco mi raccontava di questa passione e della sua antica militanza nella vecchia Stella del Colle), non pensava lontanamente in quell’alba di lunedì di diventare anche lui, con Balotelli, Cassano e altri, protagonista di questi Europei di calcio. Protagonista involontario e tragico. Collepasso ha gioito in silenzio e nel dolore per la straordinaria vittoria della Nazionale. Non poteva essere diversamente. Ieri, sotto un sole cocente e con un’immensa partecipazione popolare, solo poche ore prima si erano tenuti i funerali di Manuele. I familiari non hanno voluto telecamere e fotografi durante la cerimonia. Il giorno prima, a Roma, si erano svolti quelli ufficiali, alla presenza di alte autorità dello Stato.

Tante, comunque, le autorità presenti anche alla cerimonia funebre di Collepasso, officiata dall’arcivescovo di Otranto e concelebrata dai parroci e da altri sacerdoti. Presenti la vicepresidente della Regione e il presidente della Provincia, tanti sindaci dei Comuni salentini, senatori, deputati, consiglieri regionali, colleghi e alti gradi dell’Arma, con in testa il Comandante generale. La Chiesa dedicata a Cristo Re era stracolma e in tantissimi hanno dovuto seguire la cerimonia dall’esterno.

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Nella terribile alba di lunedì scorso, un tragico tramonto di morte aveva avvolto e sconvolto un’intera comunità, una giovane famiglia, la moglie 28enne Federica, un bimbo di otto mesi, genitori, parenti e amici. Conservo ancora nelle orecchie l’urlo terribile e straziante proveniente, quella tragica mattina del 25 giugno, da via San Pio X, dove la moglie era giunta da poco nelle casa dei genitori da Gorizia, in attesa del ritorno di Manuele per pochi giorni di ferie.

Manuele è tornato. Avvolto, però, nel tricolore. Per l’ultimo viaggio e per l’ultimo addio dei suoi familiari e della sua comunità.

In questi giorni abbiamo assistito ad un lungo e caloroso abbraccio da parte di una comunità intera, unita “senza se e senza ma” attorno al ricordo di uno splendido ragazzo, al dolore della moglie e della famiglia.

Tutta Collepasso, improvvisamente scaraventata nella cronaca di giornali e televisioni nazionali e internazionali, si è unita unanime in questo abbraccio, dimostrando di essere comunità solidale. Al di là di divisioni politiche, ideologiche, religiose. Comunità composta, partecipe e dignitosa. Quasi rassegnata all’ineluttabilità di un destino, che ha trasformato Manuele in un “eroe”. Sebbene Manuele non volesse diventare un eroe, ma vivere la sua vita accanto a Federica, al figlioletto Manuel, ai suoi cari e agli amici.

Ha proprio ragione quel grande poeta e cantore dell’animo umano che era Fabrizio De André! “… ora che è morto – cantava ne “La ballata dell’eroe” – la patria si gloria d’un altro eroe alla memoria… ma lei che lo amava aspettava il ritorno d’un soldato vivo, d’un eroe morto che ne farà se accanto nel letto le è rimasta la gloria d’una medaglia alla memoria…”. Questo, forse, pensa oggi la giovane vedova 28enne Federica… Manuele non voleva diventare un eroe. Voleva essere padre e marito felice. Marito di Federica. Sposata quattro anni fa. “Gemelli” nella vita. Gemelli persino nell’anagrafe. Ambedue nati lo stesso giorno. Il 18 gennaio. Solo due anni di differenza. Del 1982 Manuele. Del 1984 Federica. Un destino comune sin dalla nascita. Manuele voleva “godersi” Manuel, il figlio di otto mesi. Aveva voluto chiamarlo con il suo nome. Forse presagiva il suo destino.


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Pantaleo Gianfreda
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