Salvatore Guido, l’inossidabile “fan” del grande Faber

24 Ottobre 2013 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Giuseppe con Salvatore sotto la targa “Via Fabrizio De Andrè”, leggermente abbrunita in laboratorio, per migliore visibilità della scritta

Giuseppe con Salvatore sotto la targa “Via Fabrizio De Andrè”, leggermente abbrunita in laboratorio, per migliore visibilità della scritta

Se incontrate Salvatore e qualsiasi discorso imbastiate con lui, inevitabilmente e ripetutamente vi investiranno citazioni, più o meno lunghe, da testi di Fabrizio De Andrè, perfettamente inerenti l’argomento in oggetto di trattazione: incredibile!

Una volta che l’avevo cercato per una riparazione elettrica, lui che mi combina?

Per avvisarmi che era venuto a casa e non mi aveva trovato, infila sotto il portoncino il seguente avviso su un foglio di “block-notes”: “Io mi dico è stato meglio lasciarci/che non esserci mai incontrati”, seguìto dal suo numero di telefonino.

Mia moglie, rientrata prima di me, trasale, incredula, e immediatamente chiama la persona, che immagina essere una mia segreta “escort”, salvo sincerarsi, tranquillizzata, che il messaggio incriminato altro non è che un brano di “Giugno ‘73”, tratto da “Volume Otto” del grande Faber.

E che altri non poteva essere stato, autore di simile avventata iniziativa.

In occasione dell’ultimo concerto di De Andrè nel 1998 al Teatro Italia di Gallipoli, quello, per intenderci, con carte da gioco per sfondo scenico, mi recai al botteghino, dopo appena un’ora e mezza dall’apertura della prevendita, più o meno all’imbrunire, e chiesi all’addetto due posti centrali di prima fila.

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Già presi!”, rispose l’incaricato, mostrandomi la planimetria dell’enorme sala, del tutto libera, e lesse pure il nome.

Era stato lui, Salvatore, e non poteva essere nessun altro; fui contento ugualmente e mi accaparrai quelli immediatamente dietro.

Sere fa, in villa, sotto le prime brume d’autunno, abbiamo effettuato persino un sondaggio a due, alla ricerca della più bella canzone in assoluto, nella sterminata produzione del Nostro.

C’è stato un lunghissimo silenzio, ambedue abbiamo fatto scattare la ruota della memoria, sguardo fisso verso un lampione, poi ho accennato improvvisamente con un “ta-ta-ta-ta, ta-ta-ta-ta” l’introduzione della mia prescelta.

Sì, è quella anche secondo me!”, ha concordato entusiasta.

Dove sono i generali/che si fregiarono nelle battaglie/con cimiteri di croci sul petto,/dove i figli della guerra/partiti per un ideale/per una truffa, per un amore finito male/hanno rimandato a casa/le loro spoglie nelle bandiere/legate strette perché sembrassero intere”.

Avrete certo compreso che si tratta di “La collina”, primo pezzo dell’album “Non al denaro non all’amore né al cielo” del 1971, ispirato all’“Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters, che, rammento, era la più richiesta a Radio Collepasso International, col sottoscritto alla consolle, nel 1977.

Com’è noto, da qualche anno nel nostro paese, come, credo, in moltissimi altri, esiste una via “Fabrizio De Andrè”, ottenuta con una certa fatica.

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Combinazione ha voluto che si tratti della stradina sotto l’orologio della piazza, che “ha battuto la sua ora”, leggermente in discesa proprio come un “caruggio” genovese, abitata da due anziane e una pizzeria, e la targa è bianca, semplicissima pietra con una piacevole, naturale scanalatura trasversale.

Una mattina passava in auto Roberto, il fotografo professionale, e, allora, quale migliore occasione, per fissare in un flash, tempo una frazione di secondo, la comune ammirazione per il cantautore di cui siam fieri!

Sine, cusì comu ne cchiamu; cu la barba, ma ce te ne futti; scatta, scatta!”.

Salvatore vive una quotidianità intrisa di profonda semplicità, che comunica a chi l’avvicina uno strano benessere, la stessa levità di quando corre con passo di gazzella o passeggia con la sua donna.

E da tempo, qualcuno, addirittura, va sostenendo che potrebbe essere il fluido di Fabrizio De Andrè, “magicamente disceso” dentro di lui.

Giuseppe Lagna


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Pantaleo Gianfreda