“Il bambino con il pigiama a righe” al Cineforum

18 Marzo 2009 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Giovedì 19 marzo, ore 19.30, Cinema Ariston  

“Il bambino con il pigiama a righe” (titolo originale “The Boy in the Striped Pyjamas”) è il film in programmazione giovedì 19 marzo, alle ore 19.30, nel cinema Ariston, nell’ambito di “Progetto Cinema 2008”.

E’ un film di produzione americana, di genere drammatico, della durata di 93 minuti, portato sullo schermo nel dicembre 2008, che racconta l’epoca nera del nazionalsocialismo rivista attraverso la psicologia di un’amicizia infantile tra il figlio di un ufficiale nazista ed un ragazzino ebreo rinchiuso in un campo di concentramento che avrà delle terribili conseguenze.

Regista del film è Mark Herman.

I protagonisti sono: Asa Butterfield, Zac Mattoon O'Brien, Domonkos Németh, Henry Kingsmill, Vera Farmiga, Cara Horgan, Zsuzsa Holl, Amber Beattie, László Áron, David Thewlis, Richard Johnson, Sheila Hancock, Iván Verebély, Béla Fesztbaum, Attila Egyed, Jack Scanlon, Rupert Friend, David Hayman, Jim Norton.

Di seguito la trama e la recensione di Marzia Gandolfi:   

Berlino, anni Quaranta. Bruno è un bambino di otto anni con larghi occhi chiari e una passione sconfinata per l'avventura, che divora nei suoi romanzi e condivide con i compagni di scuola. Il padre di Bruno, ufficiale nazista, viene promosso e trasferito con la famiglia in campagna. La nuova residenza è ubicata a poca distanza da un campo di concentramento in cui si pratica l'eliminazione sistematica degli ebrei. Bruno, costretto ad una noiosa e solitaria cattività dentro il giardino della villa, trova una via di fuga per esplorare il territorio. Oltre il bosco e al di là di una barriera di filo spinato elettrificato incontra Shmuel, un bambino ebreo affamato di cibo e di affetto. Sfidando l'autorità materna e l'odio insensato indotto dal padre e dal suo tutore, Bruno intenderà (soltanto) il suo cuore e supererà le recinzioni razziali.

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La drammaticità della Shoah, di un inferno voluto dagli uomini per gli uomini, è inarrivabile e di fatto non rappresentabile ma questo non ha impedito al cinema di provare e riprovare a misurarsi con quella tragedia. L'approccio cinematografico di Mark Herman, regista e sceneggiatore, è diretto e il punto di vista assunto è quello di un bambino, figlio di un gerarca nazista, la cui innocenza (davanti all'orrore) trova corrispondenza soltanto in Shmuel, coetaneo internato all'inferno. A differenza di "La vita è bella" e di "Train de vie", "Il bambino con il pigiama a righe" non è una favola dove ognuno ha un proprio e preciso ruolo; al contrario, nel film di Herman i due universi, quello del Bene e quello del Male, si lambiscono fino a confondersi e a sconvolgersi. Nel "Bambino col pigiama a righe" è l'inadeguatezza e la debolezza degli adulti, anche di quelli buoni, a obbligare i bambini a prendere in mano il proprio destino e a determinarlo. I padri e le madri non fanno “magie” come il Guido Orefice di Benigni e il Male che li circonda finisce per inghiottire i loro figli e renderli all'improvviso consapevoli. Il regista inglese è abile ad evitare gli stereotipi della storia “cattiva” e della contrapposizione tra infanzia idealizzata e abiezioni del mondo adulto, analizzando la durezza di un'epoca (la Germania nazionalsocialista) e di un'età (l'infanzia).

Muovendosi tra trappole d'apparenza ed eludendo clichè, sentimentalismi e scene madri, Herman mette in scena le ingiustizie e i rapporti di forza che si definiscono già nell'età più verde. Attraverso il minimalismo di episodi quotidiani, immersi nella severità dei colori freddi, "Il bambino con il pigiama a righe" svolge la memoria, rivisitandola con soluzioni e libertà che rendono la storia intollerabile e lancinante. Per questa ragione, l'autore “chiude la porta” sulla camera a gas, interponendo fra gli spettatori e il volto della Medusa la pietas di un narrare artistico che consenta di guardarla senza soccombere impietriti, atterriti.

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Tratto dal romanzo omonimo dell'irlandese John Boyne, "Il bambino con il pigiama a righe" è un film evocativo di un'epoca nera e tragica, rivista attraverso la psicologia di un'amicizia infantile e di una (pre)matura scelta di campo, complicate da una realtà storica di discriminazioni e di selezioni razziali. Immagini che richiamano per tutti la necessità di frequentare (sempre) la Memoria e di non considerare mai risarcito il debito con il nostro passato.


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Pantaleo Gianfreda