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Ci sono elementi specifici che caratterizzano, soprattutto in quest’ultimo periodo, l’impegno poetico dell’ins. Giuseppe Marzano, indubbio e significativo “pezzo di storia” della nostra comunità.
Mi si permetta (“si parva licet componere magnis” – “se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi”), considerato che parliamo di uno dei “mostri sacri” della poesia dialettale salentina, una breve e propedeutica riflessione da parte di un “vecchio saggio insipiente” (qual sono), che l’età cerca pur di rendere “saggio”, ma “insipiente” rimane… perché socraticamente “sa di non sapere”.
In età veneranda e, al contempo, in quell’eterno viso di “vispo giovanotto”, Pippi Marzano dimostra sempre più la giovanile e intelligente capacità di “sintonizzare” le sue antenne poetiche alla modernità, alla contemporaneità, al “sentire comune”, alle attese e alle speranze dell’“uomo/donna” di oggi, alla “storia nel suo divenire” quotidiano, qual è l’attenzione e la narrazione, pur in rime, dell’attualità.
…e lo fa con una dote linguistica rara: utilizzando il vernacolo.
In questo “filone” appartiene il recente “Natale scijatu”, scritto alla Vigilia di un’importante festività caratterizzata quest’anno dalla persistente situazione pandemica.
In questo “filone” appartiene il recentissimo “Lu Ddumilavinti unu”, scritto “a cavallo” tra l’anno vecchio e l’anno nuovo, un’ode alle attese e alle speranze di ogni uomo e donna di Collepasso e del mondo intero agli albori di questo 2021… “A llù Ddumila vinti unu, forzi forzi, pare ca stà rrìa nà luce nòa, nà luce, ca stà apre, a quistu mundu, nnù strittu purtiddhruzzu te speranza…”.
C’è in queste iniziali e stupende rime in “lingua povera” (qual è, ingiustamente, considerato dagli snob il dialetto) il profondo e atavico “sentire” di ognuno, l’antico e remoto Dna che “si fa parola”, il “Verbum caro factum est”, la religiosa attesa, e al contempo la “speranza”, di un “messia” che verrà, corroborata dalla razionalità e dalla modernità di una società sviluppata e avanzata… “Nnà speranza vera, ‘nfortaruta te scenza, tanta scenza te scenziati!”.
Spesso si guarda alla poesia vernacolare come “reminiscenza” del passato, si considera il dialetto una lingua “per analfabeti”, da nascondere – peggio, da rimuovere – dal linguaggio giornaliero, persino dalla formazione delle giovani generazioni. Non si colgono, invece, la ricchezza delle parole e delle espressioni, il “poliglottismo” insito in ogni “fonema” dialettale formatosi e tramandatoci nei secoli, i “semi” di latino, greco, normanno, francese, spagnolo, arabo, ecc. presenti in tante parole dialettali (diciamo ogni giorno, ad esempio, “crai” e non ci accorgiamo di parlare la forma dialettale del latino “cras”).
In una società poliglotta (ma, purtroppo, anche “superficiale” ed “epidermica”), qual è l’attuale, sembra un “non sense” non curare né trasmettere alle nuove generazioni una lingua “poliglotta” per eccellenza, qual è il dialetto, che aiuta a capire le nostre radici e il nostro futuro… perché non c’è futuro senza radici!
Va dato atto, pertanto, al maestro Marzano, educatore di intere generazioni, di aver sempre coltivato e curato il dialetto come forma di conoscenza e di cultura… con l’augurio che anche i giovani coltivino e colgano la bellezza e l’espressività unica del nostro dialetto.
Gustiamoci, pertanto, quest’altra bella e “pedagogica” poesia dialettale sul nuovo anno e un’altra dal titolo “Befana 2021” dell’amico e concittadino poeta Pippi Marzano, che ringrazio ancora, e prepariamoci tutti quanti a ricevere “lu vaccinu… quista luce ca sarva… ca tave vita, tanta vita certa, e lù sapimu… e ‘llibbara la ggente t’à paura, ca te n’annu a ‘qquai, ‘ncora tura!”.
Pantaleo Gianfreda
Giuseppe Marzano
31.12.2020
Giuseppe Marzano
5.1.2021
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