Quello sguardo e una tragedia che rimangono nella memoria collettiva. La dignità ed il silenzio della figlia

5 Giugno 2019 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Antonio, sepolto ieri con dignitoso silenzio nel Cimitero di Sannicola, è tornato nel “ventre” della Madre Terra accanto alla moglie Giovanna e ai familiari.

Non ci sono stati funerali pubblici e sermoni dopo l’autopsia, che ha confermato la morte del prof. Leo per ustioni profonde e asfissia in seguito all’orribile gesto del figlio, che ha dato fuoco al padre e lo ha lasciato morire. La figlia e i familiari hanno scelto con dignità, lontano da ogni riflettore, il silenzio e l’intimità di esequie private. Perché “il dolore ha bisogno solo di SILENZIO. Urla già abbastanza da sé”, come mi ha scritto un’amica della famiglia ringraziando “per aver omesso i commenti inutili ed offensivi” su questo sito.

Docente e uomo di cultura, schivo e riservato, ma arguto, ironico e brillante (come testimoniano i suoi libri), Antonio sembrava già presagire la sua immane tragedia in quello sguardo triste, smarrito, profondo e amareggiato fissato in una foto che, ripetutamente riportata dai media, è diventata la sua ultima “icona”.

Una tragedia che ha creato angoscia e turbamento in ogni persona sensibile e riflessiva, almeno in quelle aliene dal circo mediatico e gladiatorio del “sangue e arena”, cui la società “moderna” (?!?) e le eccitazioni collettive “costruite ad arte” da politici barbari e irresponsabili ci stanno ormai abituando.

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Questo orribile “parricidio” ci riporta alla angosciante attualità delle tragedie greche di Sofocle ed Euripide, mirabilmente rappresentate nel nostro Palazzo baronale dal Gruppo “Poiefolà” (“Edipo Re” e “Antigone” lo scorso anno; “Baccanti” e “Medea” quest’anno). Tragedie che fendono i millenni della storia dell’uomo e continuano a creare turbamenti ancestrali e porre inquietanti interrogativi anche sul dramma fatale “rappresentato” oggi sul proscenio della vita di una piccola comunità salentina.

Perché la follia dell’uomo, ieri ed oggi, continua a compiere devastanti atti contronatura?!? Perché un figlio uccide il padre, come Edipo nella drammaturgia greca e Vittorio nella tragedia odierna?!? Perché Medea uccide i suoi pargoli per vendetta e Agave il figlio Penteo eccitata dal delirio pazzo e sanguinario delle Baccanti dionisiache?!?

Interrogativi drammatici e spesso senza risposta, che ci devono spingere alla riflessione, alla pietà, alla “con-doglianza” e alla “com-passione” (nel senso autentico dei due termini di derivazione latina “cum dolere” e “cum patire” – “soffrire insieme”), alla misericordia, ma anche alla necessità di condannare e domare quegli istinti selvaggi e animaleschi che albergano nascosti in ogni persona, retaggio dell’ancestrale homo homini lupus, di insegnare soprattutto ai giovani e nelle scuole una vera “cultura della pace” per educare alla convivenza pacifica e civile pubblica e privata, per sconfiggere e comporre conflitti, talora inevitabili, che possono essere sempre superati con l’intelligenza, l’educazione e un contesto sociale più attento e meno conflittuale.

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“Sono sgomenta e costernata perché questi eventi nefasti potrebbero succedere a chiunque di noi”, ha scritto una lettrice in un commento. Ha ragione. Quello che, infatti, ha sconvolto tanti è che una tragedia all’apparenza incomprensibile abbia toccato non una famiglia emarginata degli slums urbani, ma una tranquilla (all’apparenza) famiglia benestante della piccola-media borghesia professionale e culturale di un tranquillo (all’apparenza) centro rurale, dove persino persone “strane” e “diverse” vivono e convivono tra/nella comunità e vengono accettate e accolte con umanità.

Certo non si risponde a certi drammatici interrogativi con i “baccanali” di tanti e tante “baccanti” che, alla stregua di Agave eccitata dal folle delirio dionisiaco, compulsano istintivamente e inconsciamente (…in ogni subconscio alligna spesso un “mostro”…) tastiere nere di invereconde oscenità. In una società moderna, civile e democratica, chi è responsabile di un delitto così efferato deve essere giudicato e punito da una Corte di Giustizia, non certo da vomitevoli “giustizieri della notte” (sulla tastiera). Senza dimenticare che, a differenza di tante antiche e vendicative divinità greche e pagane, la principale religione che caratterizza la civiltà occidentale ci tramanda un “Dio misericordioso e pietoso”, come ricorda spesso Francesco.

Riposa ora in pace, Antonio, uomo colto e mite, padre premuroso e affettuoso, docente valoroso e stimato, ingiustamente colpito da un atroce destino!

All’amata figlia Anna, che ha scelto intelligentemente di tenersi lontana dai voraci riflettori mediatici, sincere con-doglianze e fraterna vicinanza umana!

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Lasciamo ora che la Giustizia compia il suo cammino nei confronti del responsabile di così atroce delitto. Nessuna attenuante né comprensione, ma solo pietà e speranza di ravvedimento per il figlio edipico, succube dei fantasmi della cattiva dea Ate (dal greco Ἄτη, “rovina, inganno, dissennatezza”), per il quale da tempo la pietas paterna aveva invocato invano nella sua poetica “Lettera al figlio”… “Raccontami il dolore che ha fatto crescere in te questa speranza di vita oscurata… ora ti sei fermato per imbalsamare una figura di padre da tempo diventata opaca…”.

Il Signore ti doni la “requie” eterna, Antonio!

Pantaleo Gianfreda

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