La “Caremma” (o “Quaremma” o “Curemma”)… ricordo delle antiche tradizioni e… “te la ‘Dema”!

18 Marzo 2016 Off Di Pantaleo Gianfreda
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La "Caremma te la via te Maje"

La “Caremma te la via te Maje”

I tanti automobilisti o pedoni che attraversano la “via te Maje” (via Principe di Piemonte) si soffermano incuriositi, quest’anno, all’altezza del numero civico 53, nel vedere la sagoma di una vecchia signora assisa su un balcone. Tanti anni fa in quella casa vi abitavano due cari anziani collepassesi (mi ricordo la nunna Pantalea…). Oggi vi abitano due “sposini”, convolati a nozze circa un anno fa. Giacomo, nipote te la nunna Pantalea, e Monica.
Già sul terrazzo della sua abitazione da nubile, in zona Campo, Monica soleva “agghindare” la “Caremma”. Oggi continua questa tradizione nella nuova abitazione, posta in luogo più trafficato e frequentato. Lo fa, come mi dice accogliendomi nella sua bella casa, in ricordo “te la ‘Dema”, di cui era nipote, che nell’abitazione-forno sua e te lu maritu Agostinu, in via Masaniello, per decenni e sino alla sua prematura scomparsa ha perpetuato la tradizione te la Caremma, ereditata poi da Monica.
La Caremma è una delle figure caratteristiche della tradizione popolare salentina. Anticamente, a cominciare dal mercoledì delle Ceneri e per tutta la Quaresima, si usava esporre sui balconi o sui terrazzi delle proprie case questo fantoccio di paglia che rappresentava la vedova del Carnevale, che era ormai terminato, cioè “morto”. Era, perciò, vestita a lutto ed intenta a filare la lana per ricordare, in modo simbolico, il periodo di penitenza e di astinenza che si doveva affrontare per prepararsi bene alla Santa Pasqua.
Pare che il termine “Quaremma” o “Caremma” sia di derivazione francese (da “Carême”, cioè Quaresima), ereditato probabilmente e assimilato nel nostro dialetto, come tanti altri termini dialettali di diversa e varia derivazione linguistica dei vari popoli dominanti il Salento (greci, romani, arabi, normanni, francesi, spagnoli, ecc.), durante la presenza francese del XXIV secolo.
Ma com’è la “Caremma”? Brutta e vecchia (si dice ancora: “bruttu o brutta comu ‘na caremma”), vestita di nero, ha in una mano un fuso e la conocchia legata alla vita, nell’altra mano ha un’arancia nella quale sono conficcate sette penne di gallina (una volta si spennavano e si conservavano dal cappone mangiato a Natale) o, invece delle penne, le vengono appesi alla stessa mano sette taralli. Le penne o i taralli sono il naturale calendario della Quaresima: corrispondono alle sette settimane che dividono il carnevale dalla Pasqua ed ogni settimana si toglie una penna o un tarallo fino a quando, nel giorno di Sabato Santo o di Pasqua, la Caremma viene bruciata dopo il suono delle campane che annunciano la Resurrezione del Cristo.
Facendo una piccolissima deroga alla tradizione, Giacomo mi dice che la loro Caremma sarà bruciata nel giorno della Pasquetta.
Caremma1La tradizione della Caremma è in vari modi diffusa in tutto il Salento, ma anche in buona parte d’Italia. A Gallipoli la Caremma è la madre “te lu Titoru”, la maschera locale che muore per le gozzoviglie del martedì grasso. Si dice – non so perché, avendo sposato una bella donna di quel paese – che Tuglie sia “il paese delle Caremme”. A Martina Franca è la “Quarantena”, riempita di dolci e frutta per la gioia dei bambini. Ad Oria è la “Quaremma”, che ha come “corredo” anche una bottiglietta d’olio per alimentare la lampada che le consentirà di continuare a lavorare di notte, una d’aceto a simboleggiare la ristrettezza economica e 7 fichi secchi o taralli oltre al fuso. Nel centro Italia è la “Quaresima delle sette piume”, mentre nel nord Italia è la “vecchia di Mezzaquaresima”. Nel Veneto si usa fare il “rogo dela vècia”.
Una volta, nel periodo quaresimale, la tradizione alimentare era caratterizzata da grande austerità (anche per necessità). Dalla tavola venivano eliminati carne, uova e formaggi. Tali privazioni terminavano, però, durante la Settimana Santa e si preparavano i dolci tipici pasquali, quale la “Cuddhura”, dolce di forma circolare con dentro uova sode con il guscio, regalate dalle ragazze ai fidanzati nel giorno della Resurrezione. Una tradizione, quest’ultima, che, seppur in tono minore, permane tuttora.
E’ bello conservare queste antiche tradizioni, una volta assai diffuse, e dobbiamo ringraziare persone come Monica se ancora oggi continuiamo a rivivere antichi momenti della vita dei nostri nonni e ricordare la “Caremma”, preludio alle imminenti festività pasquali.


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Pantaleo Gianfreda
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