Detenzione ingiusta: risarciti gli eredi di Alessandro Giaccari

30 Novembre 2008 Off Di Pantaleo Gianfreda
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In carcere da innocente. Ma è morto in un incidente nel 2003. Detenzione ingiusta: la Corte d’Appello riconosce l’errore subìto nel 1999 da Alessandro Giaccari, allorchè il giovane collepassese, allora ventenne, venne arrestato con l'accusa di aver violentato una ragazza di undici anni. Il giovane fu completamente scagionato dall'infamante accusa. Oggi la Corte d'Appello ha stabilito che la giovane vedova e la figlia debbano essere risarcite del danno.

Il riconoscimento della detenzione ingiusta arriva dopo la morte. La Corte d’Appello di Lecce ha sancito con la sentenza dell’altro ieri che l’arresto del 1999 dell’allora ventenne Alessandro Giaccari fu una decisione ingiusta che pregiudicò il suo futuro. Nonostante l’assoluzione. Con l’accusa di aver violentato una ragazza di undici anni, Giaccari rimase in carcere 92 giorni e altri 14 agli arresti domiciliari. Nell’aprile del 2003 venne assolto dai giudici della prima sezione penale (presidente Giacomo Conte, a latere Fabrizio Malagnino e Maria Pia Verderosa) e la sentenza divenne presto definitiva poiché né l’accusa e nemmeno le parti civili proposero appello: il processo e l’arringa dell’avvocato difensore Walter Zappatore dimostrarono che la ragazza si era inventata tutto di sana pianta per giustificarsi davanti al padre di aver marinato per l’ennesima volta la scuola.

Ma Giaccari non fece in tempo a vedere che quella stessa giustizia che gli aveva compromesso quattro anni di vita completasse il suo corso con il riconoscimento dell’ingiusta detenzione. E non fece nemmeno in tempo a vedere nascere la bimba concepita con la donna sposata appena la vita gli cominciò a sorridere, poco più di un anno dopo l’assoluzione: alle otto e mezzo di mattina del 27 dicembre di tre anni fa Giaccari morì nell’incidente sulla strada provinciale che da Supersano (dove si era trasferito dopo il matrimonio) porta a Cutrofiano. La sua Bmw si andò a schiantare contro un albero di ulivo e dopo sette ore di agonia morì nell’ospedale “Ferrari” di Casarano. Quel giorno la morte e la vita si incrociarono e si sfiorarono nella sua famiglia: mentre era ricoverato in Rianimazione, la moglie si trovava in Ginecologia per un controllo sullo stato di salute della bimba che sarebbe nata qualche giorno dopo.

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Alla mamma ed alla figlia in seguito è stato riconosciuto il diritto di subentrare a Giaccari nel processo per il riconoscimento di ingiusta detenzione. L’ha invocata l’avvocato Zappatore nel processo in Corte d’Appello, si sono opposti il viceprocuratore generale Giuseppe Vignola ed il Ministero dell’Economia. E l’hanno fatto sostenendo che Giaccari ci avrebbe messo del suo per far sì che tutto non si chiarisse nel corso delle indagini visto che si era avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio in carcere davanti al giudice delle indagini preliminari. L’avvocato Zappatore ha prodotto invece degli atti che hanno dimostrato il contrario e cioè che Giaccari motivò la sua innocenza sia davanti al tribunale del Riesame che nell’interrogatorio con il pubblico ministero. I giudici Rodolfo Borselli (presidente), Fausta Palazzo e Rosa Casaburi hanno stabilito che i familiari del giovane arrestato ingiustamente e rimasto privo della libertà per 106 giorni, debbano essere risarciti con 40mila euro. Fra le motivazioni, anche perché avendo solo venti anni la decisione ingiusta fu ancora più penalizzante: “Ha involto innanzitutto la sua dignità di persona e quindi la sua credibilità personale e sociale con presumibile grave pregiudizio per il suo futuro per una imputazione assolutamente infamante ed a seguito di un procedimento la cui notizia ha avuto grande risonanza nel paese essendo stata anche riportata sui giornali locali”. I giudici hanno concluso che l’assoluzione in questi casi non cancella le accuse perché in una parte dell’opinione pubblica resta il sospetto che fosse tutto vero.


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Pantaleo Gianfreda
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