Dieci anni fa moriva don Grazio Gianfreda, collepassese di nascita, parroco di Otranto ed insigne studioso del Mosaico

4 Gennaio 2017 Off Di Pantaleo Gianfreda
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zio-grazioDieci anni fa, il 4 gennaio 2007, si spegneva don Grazio Gianfreda, originario di Collepasso, parroco della Cattedrale di Otranto, studioso insigne della storia idruntina e salentina. Don Grazio, sempre molto legato al suo paese natìo, riposa oggi nel cimitero di Collepasso, dove è tumulato nella Cappella di famiglia.

Don Grazio Gianfreda fu, soprattutto, cantore ed esegeta del Mosaico pavimentale della Cattedrale, opera del monaco basiliano Pantaleone negli anni 1163-1165, uno dei periodi più prodigiosi del “Rinascimento salentino” (come amava definirlo don Grazio) e di massimo splendore della vicina Università di Casole (nei pressi di Punta Palascìa), che rappresentò in quei secoli una delle istituzioni culturali più importanti dell’intera Europa e vero ponte culturale tra Oriente e Occidente.

Questa sera, alle ore 17.30, il Vescovo mons. Donato Negro celebrerà, insieme ad altri sacerdoti, una Messa in suffragio nella Cattedrale di Otranto, di cui don Grazio fu parroco per ben 35 anni (1956-1991).

"Il Mosaico di Otranto", una delle più pregevoli opere di Don Grazio

“Il Mosaico di Otranto”, una delle più pregevoli opere di Don Grazio

Don Grazio è stato un’affascinante e meticolosa figura di studioso e ricercatore. Egli ha lasciato un’enorme eredità di scritti e considerazioni di grande attualità e alto livello culturale, che rischiano di scivolare nell’oblìo a causa di talune piccinerie e miopie umane. Nelle diverse culture che hanno attraversato i secoli e segnato e impreziosito quella “diversità” del Salento (non a caso oggi uno dei luoghi più amati d’Italia), don Grazio ha sempre cercato punti di incontro e di confronto.

E’ rimasto celebre l’intervento che egli fece in occasione della commemorazione civile del Martiri di Otranto il 13 agosto 2002, quando era ancora “fumante” il ricordo dell’11 settembre 2001 e facile la tentazione di identificare l’Islam come “male assoluto” in un filo storico che avrebbe potuto unire l’Otranto del 1480 e la New York del 2001. Don Grazio, invece, deluse le attese di tanti. Come ricordava il sindaco dell’epoca Francesco Bruni sulla “Gazzetta” del 5.1.2007, in quell’occasione don Grazio “lasciò a bocca aperta una vasta platea affermando che andava recuperato il dialogo e non ricercato un conflitto negli avvenimenti dell’11 settembre 2001. Una lezione immensa”.

Una lezione che i politici occidentali dell’epoca, in primo luogo Bush e Blair, non vollero seguire, provocando i disastri attuali nel martoriato Medio Oriente e nei Paesi dell’Africa mediterranea, ma anche nello stesso Occidente, che oggi subisce i contraccolpi terroristici della più grande miopia e menzogna politica della storia di questo primo scorcio del Terzo Millennio.

Don Grazio lla sua scrivania in Cattedrale, come lo ricordano ancora in tanti

Don Grazio, alla sua scrivania in Cattedrale, sempre disponibile e sorridente… così lo ricordano ancora in tanti…

Il messaggio di incontro, rispetto, dialogo e confronto tra le diverse culture e religioni dell’uomo, che rappresenta la vera eredità di don Grazio, andrebbe rilanciato e valorizzato. Perché è un messaggio sempre attuale, che presenta oggi ampie affinità con quello di Papa Francesco, seppur ancora ostico per burocrazie curiali e chiusure mentali ancora presenti in ampi strati della stessa Chiesa. “Io sono cristiano – amava ripetere spesso zio Grazio – perché sono nato in Italia. Sarei stato ebreo se fossi nato in Istraele, musulmano se fossi nato in Medio Oriente. Quello che ci unisce tutti è l’unico Dio che cristiani, ebrei e musulmani insieme adoriamo”.Che grande lezione da parte di un prete cattolico, profondo studioso, però, del Mosaico di Pantaleone, che contiene nel suo scrigno segni e messaggi di tutte le civiltà e religioni allora presenti nel mondo!

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Ripropongo di seguito un mio intervento pubblicato su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 5 aprile 2007, a 90 giorni dalla sua morte, cui la redazione volle dare il significativo titolo

Don Grazio, uno spirito immortale da onorare degnamente

don-grazio-g4 aprile 2007: a 90 giorni dalla morte di don Grazio Gianfreda.

Una persona cara e amata, un uomo eccezionale, una figura straordinaria. Pensare che don Grazio non ci sia più è ancora inconcepibile. Per me, era come se fosse immortale.

Scherzando, dicevamo spesso che zio Grazio avrebbe seppellito tutti noi. Tanto sembrava forte la sua tempra. Tanta inesauribile la sua vitalità. Tanto infinito l’anelito alla vita. Tanta l’energia che sprigionava.

Invece, ho visto quel corpo disteso. Immobile. Nella sua casa. Ad Otranto. Da 50 anni la sua città. Affacciata sul mare. Verso l’Oriente. Ad uno sguardo dalle montagne d’Albania.

Quel corpo adagiato in una bara. Adornato dai paramenti sacri. Pronto a presentarsi alla venerazione dell’Altissimo. Come si conviene ad un suo ministro. “Ecce sacerdos magnus, qui in diebus suis placuit Deo…”. Don Grazio, “sacerdote grande… che piacque a Dio”.

Ho visto quel sacerdos magnus e quell’uomo grande. Immobile. Espressivo. Illuminato dal sereno sorriso dei Giusti. Ho fissato lungamente quel viso fatto oggetto di venerazione, pianto, tristezza, amore da parte di tanti. Ho visto l’affetto enorme che lo circondava. Impressionante, nella Cattedrale, quell’interminabile corteo di sacerdoti vestiti di bianco. Bellissimo il ricordo nell’omelia del Vescovo.

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Ho, poi, ancora, accarezzato il suo viso. Nella nuova Cappella del Cimitero di Collepasso. Il viso disteso. Il tocco freddo. L’espressione tranquilla. Profonda. Sommersa in una spiritualità intensa. Come se, volato via l’ultimo sorriso terreno, si fosse immerso nella profondità della comunione con Dio.

Collepasso: il suo amato “borgo natìo”. Così impresso nella sua memoria. Nei suoi ricorrenti ricordi infantili di piccolo ribelle. Deliziosi i racconti delle sue scorribande. Gli scontri. Le mazzate tra fazioni di quel terribile inizio del ‘900. Era nu diavulu. Mio padre, più piccolo di due anni, era lu santu, diceva le messe e voleva farsi prete. Successe, invece, che prete diventò Grazio, il piccolo diavolo…. Ah, la vita!!!

Don Grazio ricordava tutto di Collepasso. Nitidi i ricordi. Non scalfiti dal tempo. Le “radici” che non aveva mai voluto recidere. Qui ha voluto essere seppellito. Per quell’atavico istinto del “ritorno nel ventre materno”. Accanto all’amatissima madre Ester, che morì quando lui era lontano. Una volta mi raccontò con emozione il suo precipitoso ritorno. Sentì e mi parve di scorgere nei suoi occhi vegliardi un’emozione infinita. Rigagnolo di lacrime mai prosciugato. Accanto al severo padre Quintino. Ai fratelli. Alle sorelle. Amatissimi. Come le due fedelissime sorelle che lascia ad Otranto, nella semisecolare casa comune. Veri numi tutelari della sua esistenza terrena.

Nella prima ed ultima stazione della sua vita, a Collepasso, prima dell’ultimo addio, don Grazio sembrava immerso nella profondità della comunione con l’Essere Supremo. Dio. Lassù, Uno. Quaggiù, con tanti volti e tanti nomi. Ma sempre Uno. Padre di tutti: bianchi, rossi, verdi, neri. Cristiani, ebrei, musulmani, indù… Quale profondo rispetto aveva don Grazio, uomo di intensa fede, per gli altri! Per le altre culture e religioni. Per quelli che appaiono diversi da noi. Non persone da “convertire” o combattere. Ma con le quali confrontarsi e dialogare. In ognuna scorgeva i “semina Verbi” (“i semi del Verbo“), i semi della Verità. Aveva rispetto per le tante culture che lui trovava simbioticamente nel Mosaico. Nell’unico Albero della Vita. In cui albergano storie, tradizioni, religioni, umanità varie e diverse.

Pochi giorni prima di Natale, dopo il mio solito: “Zio, cosa stai scrivendo?”, mi lesse, con immutata passione, la prefazione ad un nuovo libro, il cui titolo era profeticamente: “Il Mosaico di Otranto: ponte tra Oriente ed Occidente”. Quel “ponte” dalla vita terrena a quella celeste che lui era in procinto di attraversare. Quel “ponte” tra persone e culture che costruiva da sempre. Lui, uomo di dialogo. Dal forte carisma. Non più legato a stereotipate o ingessanti “ideologie” o “dottrine”. Uomo di cultura. Perciò, libero. Di esprimere anche i concetti più arditi. Di sorprendere i suoi interlocutori.

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Una persona a me cara, il giorno della morte di mio zio mi ha scritto: “Grazie per avermi fatto conoscere Don Grazio, ho fatto appena in tempo a conoscere quell’uomo eccezionale. Quei brevi incontri con lui rimarranno scolpiti nella mia memoria”. Don Grazio era uomo eccezionale. Solo lui sapeva esprimere culturalmente e misticamente certi concetti. Solo lui, “antica figura simile ai monaci eruditi medioevali“, sapeva interpretare con saggezza antica e moderna il profondo messaggio del monaco Pantaleone, racchiuso in quel Mosaico, nell’Albero della Vita.

Mi assale un vuoto profondo, una tristezza infinita al pensiero che zio Grazio non ci sia più. Sembrava eterno. Non lo è stato. Né poteva esserlo. Lo sono il suo pensiero ed il suo insegnamento. Che si racchiudono nel semplice messaggio evangelico, nella vera e dirompente “rivoluzione” di Gesù Cristo: “Ama il prossimo tuo come te stesso”! “Prossimo tuo…”. Senza aggettivazioni, senza distinzioni. Di razza e di religione. Lui, che, prima di tutto, prima che “cattolico”, si sentiva profondamente “cristiano”.

Zio Grazio mi affascinava troppo. Mi incuriosiva. Mi intrigava. La sua cultura immensa. La sua memoria ferrea. I suoi voli pindarici che pennellavano scenari storici, geografici e culturali di incredibile antica attualità. Egli era uomo “antichissimo”. E uomo “modernissimo”.

Mi auguro che la sua memoria sia onorata degnamente e che nessuno tenti di imbalsamare un pensiero vivace, una mente altera, un coerente “cristiano” veramente “cattolico” (“katolicòs”, cioè “ecumenico”).

Don Grazio Gianfreda appartiene a tutti. Indistintamente. Perché persone come lui rappresentano il meglio della nobiltà dell’uomo e della sua cultura. Appartiene, soprattutto, all’intera società salentina. Perché del Salento, la vecchia “Terra d’Otranto”, lui è stato e rappresenta uno dei “capisaldi” storiografici e culturali più significativi e stimolanti.

Pantaleo Gianfreda, La Gazzetta del Mezzogiorno, 5.4.2007

Di seguito copia dell’intervento (cliccare sull’immagine per leggere bene)

Il ricordo su "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 4 aprile 2007

Il ricordo su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 4 aprile 2007


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