E’ morto don Marco Guido, già viceparroco di Collepasso (1952-1956) e parroco di Cerfignano (1958-1983)

6 Febbraio 2016 Off Di Pantaleo Gianfreda
Spread the love

Don Marco Guido

Don Marco Guido

Il 12 febbraio, durante il suo viaggio verso il Messico, Papa Francesco farà scalo a L’Avana, capitale di Cuba, per uno storico incontro con Kyril, patriarca della Chiesa ortodossa di Mosca, che conta 200milioni di fedeli. Un altro muro cade. Un altro robusto passo verso l’unità. Francesco e Kyril si incontreranno, si stringeranno la mano e firmeranno una dichiarazione comune. Erano quasi mille anni che le due Chiese non comunicavano tra loro, esattamente dal 1054, l’anno del grande scisma con le Chiese d’Oriente e d’Occidente, che si scomunicarono a vicenda.
Non so se don Marco Guido abbia avuto il tempo di apprendere, condividere e gioire di questa notizia.
Per lui, impegnato per decenni nel campo dell’ecumenismo e nella difficile opera dell’unità dei cristiani sotto un’unica Chiesa (“Ut omnes unum sint”, “Affinché tutti siano una sola cosa”), la notizia, una tappa storica per l’unità dei cristiani, avrebbe provocato grande gioia.
Don Marco, uomo dotto e riservato, uno degli ultimi “grandi sacerdoti” collepassesi, è morto ieri sera a 88 anni. Finché le forze glielo hanno permesso, ha girato il mondo (pochi lo sanno) – per sete di conoscenza e spirito di avventura, ma anche per il suo ruolo di Delegato diocesano per l’Ecumenismo -, per partecipare a quella certosina opera di ricucitura delle divisioni, spesso artificiose, ma incrostatesi nei secoli, tra le varie chiese cristiane. Lui amava molto viaggiare, perché, come ha scritto nella sua autobiografia, “La vita è un viaggio e io mi sono raccontato come di fatto sono stato, un viaggiatore, convinto che viaggiare fa bene al corpo e allo spirito per una formazione umana e cristiana aperta“. Per la cronaca (lui lo raccontava spesso), in uno dei suoi primi viaggi in Terrasanta, avvenuto il 22 luglio 1968, visse momenti di autentico terrore, perché l’areo israeliano su cui viaggiava fu dirottato da un un commando arabo. Si trattava di uno dei primi (forse il primo in assoluto) dirottamenti aerei. La drammatica avventura finì, per fortuna, bene e don Marco, che viaggiava insieme ad altri due confratelli, “ebbe l’onore” delle prime pagine, anche con interviste, su molti quotidiani nazionali.
Ut unum sint” – la ricerca dell’unità tra cristiani rilanciata con forza da papa Giovanni XXIII negli anni ’60 – è stata la ragione e la missione della sua vita, così come nella preghiera di Gesù al Padre: “… che tutti siano una cosa sola, e come tu, Padre, sei in me e io sono in te, così anch’essi siano in noi una cosa sola…” (Giovanni, 17, 20-23).
L’anno scorso, nel gennaio 2015, don Marco aveva presentato uno dei suoi ultimi libri di carattere ecumenico, scritto insieme al prof. Salvatore Marra, “Il Tomos Agapis e il pronunciamento magisteriale sulla teologia delle ‘Chiese sorelle’”, sui rapporti e i tentatvi di apertura fra Paolo VI e il Patriarca ortodosso di Costantinopoli Atenagora, nel primo tentativo di riavvicinamento tra le Chiese cristiane. Uomo di studio, di cultura, di profonda dottrina e di grande apertura ecclesiale, don Marco ha scritto altri libri. Il primo, forse il più interessante e impegnativo, nel 1974, “L’Eucaristia di Taizé: tappa concreta nel dialogo ecumenico“, frutto dei suoi studi per la tesi nella Facoltà di Teologia di Roma/Sezione ecumenico-patristica greco-bizantina di Bari, della sua esperienza presso la celebre comunità ecumenica di Taizé e della sua convinzione che occorre maggiore coraggio verso la via dell’ecumenismo cristiano (criticava le Autorità ecclesiastiche che si dimostravano “poco impegnate nel dialogo ecumenico e ancora molto rigide“, sosteneva che “è possibile cercare un comune cammino di restaurazione dell’unità ecclesiale, attraverso una Eucaristia per tutti i cristiani, aperta alle varie tradizioni eucaristiche e quindi con formulazioni e sottolineature teologiche diverse…”, rilevava amaramente che “dopo tanti secoli di accuse, di polemiche, di condanne e di scomuniche vicendevoli, abbiamo creato nel Popolo di Dio delle varie chiese una mentalità esclusivista, se non di profonde divisioni e di odi, che non si può cambiare, se non con una azione pastorale ecumenica globale e radicale“, insisteva che per “instaurare un nuovo metodo di dialogo ecumenico” bisognava “scendere al concreto, dialogare su realtà concrete che esistono nelle chiese, confrontandole tra loro per scoprirne i punti di accordo e di divergenza, smussando angolazioni confessionali“). Un suo altro testo è “Teologia cristologica paolina e giovannea”. Nel luglio 2001, in occasione dei suoi 50 anni di sacerdozio, pubblicò e donò alla comunità la sua autobiografia “Un unum sint. Memoria, ringraziamento e domanda di perdono a Dio e al suo popolo“, che riporta esperienze pastorali e vari momenti della sua vita intensa, interessante, avventurosa, talora tormentata. Nel 60° del suo Sacerdozio, nel luglio 2011, pubblicò e donò “Nell’attesa della Pasqua Eterna” … quella “Pasqua” che ora è arrivata anche per lui!
Don Marco, nato a Collepasso il 5 dicembre 1927 da Cosimo e Rosa Sindaco, in una famiglia numerosa (come si usava in quei tempi), era stato ordinato sacerdore il 12 agosto 1951. Il successivo 15 agosto, Festa dell’Assunta, aveva celebrato la sua Prima Messa nella Chiesa Matrice di Collepasso, in cui fu poi viceparroco di don Salvatore Miggiano, dal 1952 al 1956. Dopo un’esperienza pastorale a Badia di Cava (SA), divenne parroco di Cerfignano, proprio il paese di don Salvatore, dove rimase dal 1958 al 1983. In quest’anno si ritirò nella sua casa di Collepasso, sulla strada per Parabita, assistito, come a Cerfignano, dalla diletta nipote Giuseppina (morta cinque anni fa), e dedicandosi alla cura spirituale delle Suore dell’Oasi come Cappellano.
Don Marco non era solo uomo di profonda spiritualità e dottrina, ma anche di impegno sociale. A Cerfignano, ad esempio, come precedentemente a Collepasso, promosse nel 1959 la costituzione delle ACLI (Associazione cristiana dei lavoratori italiani), perché, come egli stesso scrisse, “Mancavano a Cerfignano le ACLI, che per mia esperienza positiva di Collepasso, le ritenevo necessarie per il bene sociale e spirituale dei contadini soprattutto”.
Non tutti sanno, inoltre (don Marco era persona molto riservata), che la nuova Cappella del Cimitero di Collepasso è stata eretta e costruita, pochi anni fa, grazie al suo determinante apporto economico. In quella Cappella, dove egli avrà certamente dimora, volle che fossero tumulati i suoi genitori e poi la diletta nipote Giuseppina.
Con don Marco ho avuto sempre un buon rapporto. Agli occhi di tanti appariva rude e talora scontroso, una persona isolatasi dal contesto sociale. Invece, amava conversare, seppur selezionasse le sue rare compagnie. A me piaceva spesso andare a trovarlo (mi rimane il “magone” di non averlo frequentato in questi ultimissimi anni), perché amavo scherzare e parlare con lui, spaziando dall’ecumenismo alle vicende della Chiesa, ai fatti di Collepasso, a tanto altro. Era un piacere (talora una scherzosa “battaglia”) conversare con lui, perché sotto quella scorza di persona all’apparenza così austera e rude c’era un uomo di grande sensibilità, umanità, cultura e apertura sociale e religiosa. La mia antica vocazione missionaria incrociava in lui l’uomo dell’ecumenismo, della ricerca dell’incontro, del dialogo, delle convergenze… in poche parole, della caritas e della misericordia cristiane. Mi rimane un piacevole e grato ricordo di lui.
Ut unum sint”, don Marco!

LEGGI ANCHE  Salvatore Guido, l’inossidabile “fan” del grande Faber

don Marco Guido 5.2.16


Spread the love
author avatar
Pantaleo Gianfreda