Mujica e “l’apologia della sobrietà”: “Chi accumula denaro è un malato. La ricchezza complica la vita”

Mujica e “l’apologia della sobrietà”: “Chi accumula denaro è un malato. La ricchezza complica la vita”

8 Novembre 2016 Off Di Pantaleo Gianfreda
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José 'Pepe' Mujica

José ‘Pepe’ Mujica

“Non sprecate la vita nel consumismo, trovate il tempo di vivere per essere felici”, ha detto José ‘Pepe’ Mujica agli studenti che lo hanno incontrato l’altro ieri a Roma. Ottantuno anni, presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, Mujica è in Italia per una serie di conferenze e per promuovere il libro di Andrés Danza e Ernesto Tulbovitz Una pecora nera al potere. ‘Pepe’ è diventato famoso in tutto il mondo perché da presidente rinunciò al 90% del suo stipendio e preferì continuare a risiedere nella piccola fattoria dove coltiva fiori piuttosto che nel palazzo presidenziale. In Vaticano è stato ricevuto da Papa Francesco con il quale condivide gli sforzi diplomatici per la pace in Colombia e per il Venezuela.

Presidente, cosa si aspetta dal voto americano, teme anche lei una vittoria di Trump?

“Sono molto preoccupato da un’eventuale vittoria di Donald Trump perché il peso degli Stati Uniti nel mondo è tale che i disastri combinati da un presidente americano si possono ripercuotere su tutti noi. Però penso anche che il presidente negli Stati Uniti, per fortuna e per disgrazia, ha in fondo poteri abbastanza limitati”.

Meno poteri di un presidente dell’Uruguay?

“Sì, e l’abbiamo visto con l’apertura di una indagine dell’Fbi sulla Clinton a pochi giorni dal voto. I contrappesi istituzionali sono un bene per la democrazia, anche se in questo caso negli Stati Uniti in realtà si tratta di organismi, come la Cia o l’Fbi, che nessuno ha eletto. E che si comportano come istituzioni onnipotenti”.

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Lei è diventato un ideale politico nel mondo perché ha vissuto e vive come la parte più povera dei suoi concittadini e non come quella più ricca. Pensa di essere una eccezione nella politica di oggi?

“Sicuramente sono stato un’eccezione anche nel mio Paese. Però la mia è soprattutto una filosofia di vita. Il problema è che viviamo in un mondo nel quale si crede che colui che trionfa debba possedere tanto denaro, avere privilegi, una casa grande, maggiordomi, tanti servitori, vacanze extralusso. Mentre io penso che questo modello vincente sia solo un modo idiota di complicarsi la vita. Penso che chi passa la sua vita a accumulare ricchezza sia malato come un tossicodipendente, andrebbe curato”.

Diventare sempre più ricchi è una malattia?

“Ho conosciuto dei multimilionari, anche molto anziani. E a molti ho chiesto per quale ragione continuassero a accumulare denaro se tanto poi alla fine avrebbero dovuto lasciarlo qua. La risposta è sempre stata che non potevano farne a meno, come una malattia”.

Ha avuto un contraccolpo personale, una forma di depressione, quando ha lasciato il potere. Le è mai successo di pensare: “Peccato, non sono più presidente”?

“Ma no, no. Piuttosto la verità è che alla fine può essere anche un’esperienza deludente. Riesci a ottenere meno di un terzo di tutte le cose che ti eri riproposto di fare. E è molto maggiore il numero dei sogni che finiscono in polvere rispetto a quelli che sei riuscito a realizzare facendo il presidente. Sono anche convinto che la politica non debba essere una professione. È un servizio, una passione. Chi vuole arricchirsi che si dedichi al commercio, alla banca, ma non alla politica. E per una società sana è necessario anche che si ruoti molto di più nelle responsabilità, soprattutto in quelle che implicano la rappresentazione degli interessi di tutti”.

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Nel corso del suo mandato sono state approvate tre leggi rivoluzionarie anche in America Latina: aborto, matrimoni gay e legalizzazione delle droghe leggere. Cos’altro avrebbe voluto fare e non ha potuto?

“Nel mio Paese c’è ancora una percentuale di indigenti. Minima, ma c’è. E coloro che vivono al di sotto della linea di povertà sono il 9-10% della popolazione. Non è accettabile in Uruguay, un Paese che produce alimenti per un numero di persone pari a dieci volte i suoi abitanti”.

Ha detto di essere contrario all’assegnazione di un premio Nobel per la Pace?

“I Nobel vanno assegnati agli scienziati, ai medici. In un mondo come il nostro, dove ci sono guerre da tutte le parti, assegnare il Nobel per la Pace è una presa in giro. Una burla. Noi usciremo dalla preistoria dell’umanità soltanto quando non ci saranno più armi ed eserciti”.

Si oppone alla globalizzazione?

“No, non è possibile. Sarebbe come essere contrari al fatto che agli uomini cresce la barba. Ma quella che abbiamo conosciuto finora è soltanto la globalizzazione dei mercati. Che ha come conseguenza la concentrazione di ricchezze sempre maggiori in pochissime mani. E questo è molto pericoloso. Genera una crisi di rappresentatività nelle nostre democrazie perché aumenta il numero degli esclusi. Se vivessimo in maniera saggia, i sette miliardi di persone nel mondo potrebbero avere tutto ciò di cui hanno bisogno. Il problema è che continuiamo a pensare come individui, o al massimo come Stati, e non come specie umana”.

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Lei è ateo ma condivide molte idee con Papa Francesco, soprattutto la critica della società consumistica e del capitalismo selvaggio.

“La mia idea di felicità è soprattutto anticonsumistica. Hanno voluto convincerci che le cose non durano e ci spingono a cambiare ogni cosa il prima possibile. Sembra che siamo nati solo per consumare e, se non possiamo più farlo, soffriamo la povertà. Ma nella vita è più importante il tempo che possiamo dedicare a ciò che ci piace, ai nostri affetti e alla nostra libertà. E non quello in cui siamo costretti a guadagnare sempre di più per consumare sempre di più. Non faccio nessuna apologia della povertà, ma soltanto della sobrietà”.

Fonte: repubblica.it, 6.11.2016


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Pantaleo Gianfreda