Cenni di storia locale: l’antico lago Sombrino di Supersano, a pochi chilometri da Collepasso

28 Novembre 2013 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Una volta e sino a 150 anni fa… qui c’era un lago.

Sino alla metà dell’Ottocento, nella “vallata delle masserie” di Supersano, immerso nella fitta boscaglia del Bosco Belvedere, c’era un “lago”.

Era, in realtà, un’ampia distesa paludosa da tutti conosciuta con il nome di “Lago Sombrino”. Era esteso per circa 70 ettari, ma l’intera area paludosa, soprattutto nei periodi di piogge, si allargava in un ambito molto più vasto.

Masseria Padula

Masseria Padula

Sulle “rive” di questo lago, in posizione più elevata, vi erano, lungo il declivio della collina, le masserie Palazze, Mendole, Chiesa, Stanzìe, e, sull’altro versante, le masserie Padula, Macrì e  Pagliare.

Cosimo De Giorgi, nel suo libro “La provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio” (1882), riporta l’esistenza, fino alla metà del 1800, dell’area paludosa situata ai piedi della Serra tra Collepasso e Supersano, “estesa circa settanta ettari, le cui acque stagnavano due terzi dell’anno, formandovi un laghetto ch’era la delizia dei cacciatori nei mesi invernali. Però nell’estate emanava dei miasmi deleteri, che spandevano la loro influenza pestifera fino a Supersano, a Scorrano, a Maglie, a Cutrofiano ed a Sogliano Cavour”.

La presenza di una così vasta area paludosa creava indubbiamente problemi e disagi nella coltivazione dei terreni, soprattutto dopo il disboscamento selvaggio del Bosco Belvedere, e agli abitanti delle numerose masserie che facevano corona al lago, tra cui la masseria Padula, così denominata proprio per la vicinanza alla vasta palude.

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Il proprietario del “lago” e della circostante masseria Padula, Raffaele Garzya di Maglie, era da tempo alla ricerca di una soluzione che risolvesse radicalmente il problema, essendo difficile coesistere, soprattutto nei periodi estivi, con i miasmi e i pericoli provenienti dalla palude.

I fertili terreni dell'antico bacino del lago Sombrino

I fertili terreni dell’antico bacino del lago Sombrino

La soluzione del problema fu data al Garzya da un “pozzaro” di Soleto, Giuseppe Manni, che nel 1858 riuscì a prosciugare il “Lago Sombrino”,  scavando un pozzo assorbente ai piedi della serra e sfruttando la presenza di una voragine naturale presente nel calcare sottostante.

Le modalità di realizzazione dell’opera di prosciugamento sono descritte in dettaglio dal De Giorgi nelle sue “Note sulla idrografia di Terra d’Otranto”.

Lo scavo di questo pozzo meraviglioso fu compiuto da un tal Giuseppe Manni, pozzaro di Soleto. Questi, espertissimo nell’arte sua, e guidato dalla sola fiaccola dell’esperienza (avendone fatto degli altri in altre contrade della Terra d’Otranto), propose nel 1858 al signor Raffaele Garzya di Maglie, proprietario di quello stagno, il prosciugamento di tutta la palude con due soli pozzi assorbenti. Accettata la proposta, egli si accinse all’opera.

Lo stagno resta a piè di una collina poco elevata, che continua, diretta da N.W. al S.E. verso Ruffano. Quivi, presso Supersano, egli osservò una voragine naturale, alle falde della Serra fra la Chiesa di Celimanna e la Masseria Pizzofalcone, la quale inghiottiva tutte le piovane che cadevano sul territorio di Supersano fino alla contrada Belvedere. Dopo averla esaminata attentamente, riconobbe che le acque si perdevano nel calcare compatto; e cercò di riprodurre un simile capovento a breve distanza da quello, e a ponente della Masseria che ancora conserva il nome di Padula.

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Solo, armato di piccone, cominciò a scavare da prima un pozzo verticale nel sabbione che ricopre le falde orientali della collina di Supersano, fino ai due terzi della sua altezza. E discese in tal modo per oltre 100 metri di profondità, fino a raggiungere gli strati molto inclinati all’orizzonte del calcare compatto. Proseguì il taglio anche in questo pel corso di tre anni, finché raggiunse una grotta sotterranea colle pareti coperte di bellissime stalattiti. Dai crepacci delle pareti e dal fondo di questa caverna sentì uscire un forte vento; egli avea quindi raggiunto il capovento, ossia il pozzo assorbente.

Allora perforò due altri pozzi verticali allineati in direzione della palude, fino a raggiungere il livello della parte più depressa della medesima; ed a questo livello scavò una galleria orizzontale col piano inclinato verso la bocca del pozzo assorbente e della larghezza media di m. 1,50 per 2 di altezza, e m. 66,80 di lunghezza. Fece poi la canalizzazione esterna; e al Nord di questo scavò un secondo pozzo nel monte. Così tutto il fondo di quella palude fu ridonato all’agricoltura, e Supersano potè veder giustificato il suo nome, che fino a quel tempo era stato un’amara ironia!”.

Il prosciugamento del Lago Sombrino fu uno dei primi interventi di bonifica idraulica realizzati su ampia scala sul territorio salentino e rappresentò uno dei primi tentativi di sistemazione idraulica attraverso la dispersione in profondità delle acque superficiali.

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Visitando i luoghi e la vallata ai piedi della Serra di Supersano, addentrandosi all’interno delle strade interpoderali e dei vecchi tratturi che si ramificano nell’area e osservando ad occhio nudo i rilievi, è possibile ancora oggi intuire l’estensione del vecchio lago Sombrino e dell’intera distesa paludosa che occupava l’area all’interno del vecchio Bosco Belvedere e identificare le ultime tracce del vecchio lago in una residua area paludosa circondata da canneti. All’interno di questa vallata si può “vedere” il bacino dell’antico lago, le cui “sponde” erano rappresentate ad ovest dal pendio dalla Serra e ad est dalle piccole alture sovrastanti.

Sombrino2Dalla Masseria Mendole, inoltrandosi per un viottolo che si dirama verso est, in cui all’orizzonte è ben visibile la Masseria Padula, ci si imbatte in piena campagna in una residua ed ampia conca paludosa, un perenne “ciuffo verde”, anche nell’assolata estate salentina, composto da canneti attorniati da alberi d’alto fusto, in particolare pini ed eucalipti. Si tratta certamente dell’ultimo lembo testimoniale dell’antico Lago Sombrino, tuttora meta di alcune importanti specie volatili che transitano ancora nell’area nel corso delle loro migrazioni, come la cicogna e la gru, che costituivano, insieme ad altre specie volatili (pellicani, cigni, ecc.), parte dell’antico habitat dell’immensa biodiversità del Bosco Belvedere e del lago Sombrino.

La presenza, un tempo, di questo lago tende ormai a sfumare nella memoria collettiva, soprattutto delle nuove generazioni, che hanno, invece, diritto di essere edotte sulla particolare e importante storia dei nostri territori.

Per amare, rispettare e conservare i luoghi unici del paesaggio salentino occorre risvegliare e mantenere costante la “memoria storica” delle comunità locali.


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Pantaleo Gianfreda